La forza della commedia, anche tra le pagine: “Non muoiono mai” di Francesco Spiedo

La forza della commedia, anche tra le pagine: “Non muoiono mai” di Francesco Spiedo
di Giovanni Chianelli
Mercoledì 26 Ottobre 2022, 13:33 - Ultimo agg. 14:50
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In un momento in cui si dibatte sul senso della famiglia, con una stagione politica che sembra un ultimo, disperato tentativo di ribadirne la centralità, arriva un romanzo, anzi una commedia – nel senso filologico del termine – che mette a fuoco proprio questa istituzione così traballante: “Non muoiono mai” (Fandango) di Francesco Spiedo, nato nel 1992 a San Giorgio a Cremano; il libro viene presentato giovedì 27 ottobre alle 18 al punto Feltrinelli della stazione e il giorno dopo al salone “Ricomincio dai libri”, in Galleria Principe di Napoli. Traballa, la famiglia, come la lucidità di una delle protagoniste: nonna di tre nipoti che hanno deciso, all’improvviso, di passare l’estate con lei in una grande casa nelle campagne di Palma Campania.

L’anziana donna alterna sprazzi di comprendonio, fasi "oracolari" e momenti di appannamento in cui non si distinge se ci fa o ci è: come molti della sua età ha maggiore facilità a rapportarsi ai tempi della gioventù che alla gioventù di adesso.

Incarnata da tre cugini in cerca di identità, rappresentanti di un tempo instabile come il nostro: Margherita, Enrico e Pasquale. La prima ha riparato da tempo in Francia e tenta, goffamente, di ricalcare tramite il melange linguistico la nuova appartenenza come fanno certi calciatori meridionali dopo mezz'ora che si sono trasferiti all'Inter. Enrico svolge un lavoro di social media management ed è il cattivo del gruppo, pronto a sparlare degli altri e a intralciare ogni tentativo di ricostruzione di un tessuto familiare slabbrato. L’ultimo, il più giovane, neanche segretamente innamorato della cugina, è un curioso sapiente, laureato in agraria, con la deformazione culturale in agguato che serve all’autore per collegamenti all’origine. Parlano una volta a testa, e la staffetta consente un montaggio esemplare della trama e contemporaneamente la costruzione progressiva della tridimensionalità dei personaggi. Nonchè del senso del romanzo: che fanno i tre giovani nella dimora avita? 

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Avvolti in una curiosa spirale, a volte autistica come accade in tante, troppe comunità del Sud, molto spesso poetica, ad esempio quando Margherita dichiara che “la nonna è tornata da un pezzo, da quando l’amore è entrato nel discorso e le sedie hanno iniziato a muoversi” a proposito del tentativo, da parte di due dei cugini, di trasformarsi nei propri genitori per giocare con l’antenata a una pericolosa messinscena, un “Natale in casa Cupiello” che va guardato ma piace sempre meno, come il presepe che ad agosto è proprio indigesto. E sempre comica: “La notizia del nostro arrivo è rimbalzata di balcone in balcone, di catetere in catetere, è stata trasmessa a reti unificate su tutti gli apparecchi acustici della città” dice Enrico prendendo di mira il paese per vecchi che è la location del racconto, anonimo dark side del Vesuvio in cui prende piede un’anticartolina, e proprio quando il rimettersi a tradizioni culturali, lessici, tic e menù famigliari sembra inevitabile – quanto è vero, per chiunque abiti a queste latitudini – risulta ancora più scolorita, lontana dal folk o quanto meno dall’idea di celebrarlo. 

Perché in fondo l’intento di Spiedo è costruire una commedia, si diceva, qualcosa tra l’etimologico “canto del villaggio” e la satura, tra Goldoni ed Eduardo, appunto, in cui il riso è mezzo e non fine. Analista del genere su diversi blog letterari, lo scrittore indaga le possibilità del comico (sempre in senso stretto) nella produzione culturale italiana, genere che sembra aver perso dignità letteraria: “Il mio romanzo è a metà strada tra il teatro napoletano e la commedia all'italiana. Mi piace giocare sui dialoghi” spiega parlando del suo testo, e vediamo uno dei passaggi in cui il gioco riesce meglio, tanto in più in quanto è corale. La voce narrante è quella di Pasquale.

“A voi piacciono le lenticchie?”, domando e Margherita fa una smorfia.

“Mi fanno più schifo di Enrico”.

“Mi fanno più schifo di te”, dice Enrico.

“Allora l’oracolo ha parlato”, concludo.

“Hai proprio la faccia di quello che sta per dire una stronzata”, mi accusa Enrico.

“Mon dieu, fallo parlare”, ribatte Margherita.

“L’idea è semplice”, dico, “Enrico faresti mai il lavoro di Margherita?”

“Ma se non so neanche cosa fa questa sciroccata”, risponde lui.

Una buona parte del racconto e dei caratteri condensata in una manciata di battute: discussione futile, rissa verbale, riferimento al fatto che la nonna è considerata una sorta di Sibilla postmoderna, acidità del “cattivo”, gratuita inflessione francese di Margherita e la scoperta che su lei si ammantano vari misteri, tra cui quello sul suo impiego. E su questo calco si dipana la storia: gioco al massacro continuo quanto autoriferito, praticamente un modello tarantiniano trasposto in salsa vesuviana, ideato con notevole capacità di raccontare sceneggiando, disegnando atmosfere, caratterizzando psicologie, trovando le parole giuste; mentre il lettore è sedotto e indirizzato alla pagina successiva, che è in fondo ciò che ogni scrittore deve fare. E se poi chi legge sorride, vuol dire che è fatto bene.

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