Napoli, il ritorno di Familie Flöz: «Mostriamo i volti dietro le maschere»

Al Bellini «Hokuspokus» messo in scena dallo storico gruppo

La Familie Flöz al teatro Bellini di Napoli
La Familie Flöz al teatro Bellini di Napoli
di Luciano Giannini
Martedì 23 Aprile 2024, 07:27
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«Spesso una maschera ci dice più cose di un volto». Aveva ragione Oscar Wilde. La prova è Familie Flöz, il gruppo tedesco composto da artisti e tecnici di dieci Paesi, noto in tutto il mondo, che sul camuffamento (e l’assenza di parole) ha edificato la magia del proprio teatro di figura, mimo, arte circense e clownerie. Il suo ultimo spettacolo, «Hokuspokus», sarà da stasera a domenica al Bellini. Ad accompagnare attori, musicisti e tecnici della compagnia berlinese è uno dei suoi artefici storici, l’italianissimo Gianni Bettucci, 50 anni, fiorentino trapiantato in Germania, che dal Duemila è direttore produttivo e organizzativo.

Bettucci, in che cosa il titolo che portate a Napoli si distingue dai precedenti? «”Hokuspokus” rappresenta una importante maturazione drammaturgica, perché sveliamo al pubblico la macchina teatrale che sta dietro ai nostri spettacoli. Già con “Teatro Delusio”, del 2004, mostravamo il backstage. Stavolta andiamo oltre, condividendo il processo creativo. Per la prima volta gli attori compaiono anche senza maschera. Fanno funzionare i personaggi camuffati, creando una sorta di palcoscenico sul palcoscenico. Vedrete attori-burattinai, attori-maschere, attori-macchinisti e attori-musicisti, che suonano dal vivo chitarra, basso, piano e un creatore di suoni.

Ah, dimenticavo gli attori-cameramen, che riprendono l’azione per proiettarla su grande schermo».

Con questa struttura «Hokuspokus» racconterà «la storia del mondo, a cominciare da Adamo e Eva. Cacciati dal Paradiso terrestre, i due finiscono in un appartamento Ikea, creano una famiglia, attraversano l’intero arco dell’esistenza, fino a diventare anziani e a morire». Il primo nucleo della compagnia tedesca prese vita nel ’94 a Essen (Ruhr). Dunque, Gianni, sono 30 anni giusti: «Sì, ma li celebreremo nel ’98, quando prese ufficialmente corpo».

Familie Flöz

Che cos’è Familie Flöz? «Per me è tornare alla magia primigenia del teatro. In un’epoca di effetti speciali e ritmi superveloci, noi rallentiamo, orientando l’attenzione verso la maschera, che evoca le origini greche e fa riscoprire emozioni, altrimenti sommerse dai rumori della contemporaneità. Il nostro linguaggio è semplice. Arriva a chiunque». A corollario dell’attività principale, da 15 anni Bettucci organizza, a Tuscania, uno stage di 15 giorni per 30 artisti di tutto il mondo che, nel silenzio di un’abbazia medioevale, apprendono le tecniche di Familie Flöz.

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Ma Bettucci non parla solo di teatro: «Sono gay, ma avevo il desiderio di paternità. Ho conosciuto Christine, anche lei gay, l’ho frequentata e insieme abbiamo realizzato il sogno. È nata Milla, che accudiamo insieme, vivendo in case attigue. E lei ha accolto la situazione con la stessa semplicità, priva di pregiudizi, con cui noi la educhiamo». Il fenomeno, in espansione, si chiama co-parenting. Sull’argomento lui ha scritto anche un libro (in tedesco) che, tradotto, suonerebbe come Guida per padri gay: «L’associazione che ho creato a Berlino ha già 300 iscritti». Prossimo obiettivo? «Esportare la co-genitorialità in Italia, perché - ne sono certo - con Milla ho contribuito a migliorare la specie». 

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