Da Napoli a Roma,
i bus fanno crac

Da Napoli a Roma, i bus fanno crac
di Oscar Giannino
Giovedì 27 Luglio 2017, 23:50
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Le interviste rese ieri al Corriere e al Fatto Quotidiano dal direttore generale dell’Atac Bruno Rota hanno due enormi meriti. Rompono il velo dell’opacità che la politica continua a riservare alle reali condizioni della municipalizzata del trasporto pubblico locale più scassata d’Italia, opacità che purtroppo sembra persistere anche sotto la sindacatura pentastellata al Campidoglio. Ma Rota ha anche un merito aggiuntivo. In realtà le sue considerazioni valgono in maniera del tutto analoga per la seconda municipalizzata meno efficiente d’Italia nel tpl: l’Anm di Napoli. Come abbiamo scritto su queste colonne il 7 luglio scorso.

Ma che cosa sostiene Rota? Dice fuori dai denti che in quattro settimane si è amaramente reso conto che l’azienda non è in condizioni di generare la cassa necessaria al risanamento, agli investimenti, e agli oneri finanziari per far fronte a 1350 milioni di debito, e ai 300 milioni di debito commerciale con i fornitori, che ormai rifiutano all’azienda beni e servizi, in assenza di pagamenti. Aggiunge che i sindacati, soprattutto la miriade di piccole sigle, non si mostrano consapevoli della gravità della situazione. Quanto ai dipendenti, il tasso di assenza quotidiana nel primo trimestre 2017 è salito al 12,1% rispetto all’anno scorso, registrando un più 9,2%. E c’è chi presta servizio in conduzione solo per tre ore al giorno. I mezzi sono esausti e privi di pezzi di ricambio. Un quadro desolante, rispetto al fatto che all’ATAC si chiede di servire una superficie immensa di 1.023 chilometri quadrati, con oltre 4 milioni di utenti al giorno.


Le conclusioni di Rota, che ha detto di averne puntualmente informato il sindaco Raggi, sono in linea con questi dati. La società non è in condizioni di garantire una gestione in continuità, non ha come pagare ogni mese gli stipendi, se non tramite onerosi anticipi e artifici. E il doveroso rispetto della legge impone allora di certificare questo dato contabile e patrimoniale. Senza perdere altro tempo perché anzi andava fatto prima, e se non lo si fa ora il buco e le violazioni al codice civile si aggravano. Esponenti dei Cinque Stelle gli hanno subito risposto puntutamente. Ma Rota è un manager troppo esperto e fine per non sapere che, dicendo ciò che ha detto, di fatto accusa il sindaco Raggi di non voler capire che deve muovere un passo preciso. Un passo verso il concordato preventivo in continuità della società: volto a interrompere la spirale del debito, attivare le procedure dei poteri straordinari di gestione, verificare in tempi certi la disponibilità di capitale fresco da parte dell’azionista unico, il Comune di Roma, o da parte di altri soggetti. Eravamo purtroppo facili profeti, quando l’esame dei dati ci portò due settimane fa a indicare esattamente questo esito. Che prospettammo anche all’avvocato Ciro Maglione, da poche settimane amministratore della napoletana ANM, succeduto all’ingegner Alberto Ramaglia che aveva esplicitamente dichiarato che il piano industriale dell’ANM è di fatto imperseguibile, l’obiettivo di pareggio al 2017 irrealizzabile, la consapevolezza dei sindacati inadeguata, il rapporto tra Comune di Napoli e Regione Campania insussistente, e di almeno 20 milioni di euro l’anno la mancanza di risorse finanziarie necessarie a restare in piedi. Anche i numeri napoletani sono infatti disastrosi. L’ANM nel solo biennio 2014-2015 ha potuto contare su 256 milioni di trasferimenti, pari al 73,5% e al 70% del suo fatturato nei due anni. Ma copre solo il 24,8% dei suoi costi operativi netti attraverso ricavi che non siano sussidiati.


Persino l’ATAC di Roma fa meglio: nel suo caso la copertura dei costi operativi attraverso tariffe è pari al 34,7%. L’ANM napoletana riceveva 57.400 euro di trasferimenti annui per ognuno dei suoi 2683 dipendenti a fine 2015, rispetto a un costo medio lordo di 44.800 euro a testa. A Napoli, il problema dei non paganti e dei mancati controlli è ancora più grave che a Roma. Il valore aggiunto annuo per dipendente dell’ANM è di soli 32.600 euro nel 2015, e anche su questo pure ATAC fa meglio, con 39.500 euro. L’ATM di Milano realizza invece un valore aggiunto di 58mila euro medio l’anno a dipendente. Per effetto di questo gap la percentuale di costo sul valore aggiunto, assumendolo come misura del costo del lavoro per unità di prodotto, nel caso di ANM è al 140%, per ATAC al 113,6%, per ATM milanese è solo all’89%. Sono tutti numeri che spiegano abbondantemente l’apporto disastroso dato da ANM all’ancor più disastroso bilancio di perdite cumulate sommando le maggiori partecipate locali della Campania. Nella graduatoria nazionale la Campania è infatti la Regione col poco invidiabile primato del rosso più profondo: tra 2011 e 2015 le sue maggiori società pubbliche locali hanno totalizzato perdite nette per 483 milioni, ben 316 milioni bruciati da EAV, 122 da ANM, 32 da ASIA, 11 milioni da Napoli servizi. Per fare un solo raffronto, in Emilia Romagna negli stessi anni le maggiori partecipate locali hanno generato utili per 1,1 miliardi. In ogni caso, per l’ANM i 65 milioni di ricapitalizzazione a seguito del buco 2015, per altro ricapitalizzazione attraverso conferimenti immobiliari non facilmente liquidabili, sono già sopravanzati dalla somma delle perdite 2015 e 2016, superiori ai 75 milioni.


Di conseguenza, rieccoci all’analogia con l’esito indicato per l’ATAC da Rota.
O il Comune di Napoli e la Regione Campania ancora una volta ricapitalizzano, oppure l’ANM non genererà la cassa necessaria a evitare il concordato in continuità: ed è meglio allora attivare le procedure per dichiararlo. Che cosa avverrebbe? Nessun disastro. La concessione di trasporto pubblico cittadino va aggiudicata per gara, a soggetti italiani ed esteri in condizioni di ottemperare agli standard più elevati di servizio a garanzia dei passeggeri e delle città servite. Si porrebbe uno stop all’inutile falò finanziario di risorse in corso. I dipendenti attuali sarebbero garantiti dalla legge: una parte di essi in carico obbligatorio al vincitore della gara, il resto percettori di ciò che prevedono le norme per il sostegno al reddito e alla riqualificazione per il reimpiego. Non serve a niente e a nessuno continuare a prendere a calci una lattina bucata. Per Napoli e per Roma, cioè per i loro cittadini e per chi le visita, è molto meglio fare punto e a capo e ricostruire dalle fondamenta l’idea stessa di un servizio pubblico efficiente, che continuare a degradarlo nell’opacità.
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