«Se 8 ore vi sembran poche» riecco la piazza degli operai

«Se 8 ore vi sembran poche» riecco la piazza degli operai
di Francesco Romanetti
Venerdì 21 Novembre 2014, 23:16 - Ultimo agg. 23:24
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Scusi, lei è un operaio? Ma lo sa che lei non esiste più? Lo sa che la sua classe di appartenenza è data per defunta da qualche ventennio o giù di lì? Lo sa che di lei non parla quasi più nessuno? Lei, insomma, nel migliore dei casi, è un soggetto sociale in via di estinzione. Un ectoplasma. Un fossile.



Venerdì 21 novembre 2014. Corteo Fiom: la parte tosta del sindacato, quella dei metalmeccanici di Landini, quella che non ha firmato la resa di Pomigliano, quella tacciata di irresponsabilità e che ha rischiato un pericoloso isolamento.



Qualche decina di migliaia di operai, lavoratori e lavoratrici, cassintegrati, precari, giovani, braccianti stranieri, sfila da piazza Mancini, percorre il Rettifilo e sbocca tra bandiere, slogan e canzoni a piazza Matteotti. Bene o male, allora, spunta una cosa che una volta si chiamava «condizione operaia».



Così nel corteo della classe che non c’è più affiorano nomi e cognomi, volti veri e storie concrete. Marzia Serafini, 40 anni, 1.200 euro al mese, anzi ora mille, perché ha scelto il part-time e lavora 6 ore al giorno anziché otto. Due figli da mantenere. «Se non facevo così, se non sceglievo il part-time, dovevo pagare una baby sitter almeno 400 euro al mese. E chi può permetterselo?».



Sta alla Girsud di Gissi, provincia di Chieti. Producono leve del cambio, per conto della Fiat. Marzia, lo sa che lei è proprio un reperto archeologico? «Ma...che dice?». Beh, insomma, siamo nel 2014 e lei lavora ancora alla catena di montaggio! «Già...E la catena di montaggio lo sa che vuol dire? Che vorresti sempre avere tempo, tempo per fare altre cose. Mentre l’unico tempo che ti ritrovi è quello della linea di produzione. E quello è un tempo che non ti appartiene. E non passa mai».



Un altro dinosauro sociologico è Gabriella D’Alò: anche lei lavora ancora alla catena di montaggio. Operaia alla Denso Manifacturing. «Senta, signor giornalista, ora una domanda gliela faccio io: da quanto tempo uno di voi non viene in fabbrica a vedere come lavorano gli operai? Magari avete visto il video diffuso da Marchionne, quella roba dove gli operai cantano e ballano...».



Ma perché, non ballate in fabbrica? «Sì...sì...Lavoriamo su tre turni: 6-14, 14-22, 22-6. Ho vent’anni di fabbrica alle spalle. Quando sono entrata c’erano diritti e doveri. Ora i doveri sono scomparsi. I miei genitori si rivolterebbero nella tomba se vedessero come siamo combinati». Aldo Velo, una vecchia conoscenza. Ex operaio Italsider. Una volta era «un’avanguardia».



Oggi è un pensionato. «Guarda qua come sono in forma: venti chili in meno. La pensione me la devono pagare fino a 110 anni. Che vuoi che ti dica? Per anni ci hanno detto che la lotta di classe era roba vecchia, superata. Beh, io dico che la lotta di classe oggi la fa chi vorrebbe mettere gli operai polacchi contro gli italiani, i giovani contro gli anziani. Però guarda che bella giornata oggi: piena di sole e di gente in piazza».



Raffaele Antico, nome d’antan, ha 50 anni. Operaio all’Ansaldo Breda. Quinto livello: 1.200 euro in busta paga. «Come si campa? Male. A stento. Nell’84, quando sono entrato, erano 850mila lire al mese. Ci vivevi dignitosamente. E magari ti compravi anche la macchina. Ora, invece, vorrebbero prenderti tutto. Anche la dignità».



Tra i lavoratori che non esistono, quelli che esistono meno degli altri sono i lavoratori africani. Ma stamattina sono spuntati anche loro tra i metalmeccanici di Landini. Pelle nera, lavoro nero. Braccianti. Caricati ogni mattina dai caporali, a 25 euro al giorno. Pure per dieci ore. Hali Boko, 38 anni, viene dal Burkina Faso. In Italia dal 2010.



«Raccogliamo broccoli, pomodori, mele, olive. Non c’è lavoro tutti i giorni. E allora in un mese faccio 5-600 euro. Vivo con altri africani, in una casa di due stanze: 350mila lire al mese da dividere in sette».



Non è neppure iscritto alla Fiom, Giuseppe Pelliccia. Giovane operaio: 32 anni. Viene dall’Alenia di Nola: «La tessera Fiom non c’entra. Sto scioperando per i nostri diritti. Modifica articolo 18, videosorveglianza sui luoghi di lavoro, demansionamento: già c’è un clima pesante in azienda, figurarsi se passano queste cose. Il mio futuro? Io dico che se ci arrendiamo ora, la classe operaia muore davvero».



Anche Antonio Rocco, a 30 anni, è uno zombie sociale: perché è operaio pure lui. «Guarda che 1200 euro non bastano davvero: 1000 se ne vanno per le spese. Fitto, cibo, trasporti. In tasca te ne restano 200. E io non sono sposato e non ho figli». Poi c’è Antonio Di Luca. Una specie di simbolo: uno tra le centinaia di operai di Pomigliano, iscritti alla Fiom, lasciati fuori dalla fabbrica da Marchionne. E poi rientrati con sentenza del giudice.



«Crisi e paura stanno dentro le fabbriche, ormai.
Il governo risponde alle vertenze con l’autoritarismo, come se si trattasse di questioni di ordine pubblico. Ecco la mia busta paga: 1200 euro, più due assegni familiari da 125 euro per due figli. Famiglia monoreddito. Andiamo avanti con il ”welfare famigliare“: Cioè grazie a un nonno che aiuta figlio e nipote. Ecco chi siamo. Questa è la classe operaia che non esiste, che nessuno vede».
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