«Restiamo in Europa con l’Inno alla gioia»

di Donatella Longobardi
Giovedì 30 Giugno 2016, 00:49
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«Vorrei che questi eventi diventassero un appuntamento fisso, è importante per noi avere una occasione per esibirci anche a Sud di Roma». Tra una tournée internazionale e un’opera al Covent Garden, Antonio Pappano apre lunedì (alle 21) alla Reggia di Caserta il cartellone di «Un’estate da re», la rassegna estiva voluta dalla Regione Campania e curata da Scabec e già sold out che proporrà a prezzi popolari anche due recite di «Nabucco» (8 e 11 luglio) dirette da Daniel Oren con l’interpretazione di Leo Nucci. Il maestro, nato a Londra da una famiglia di origini sannite, è attesissimo a Caserta con la sua orchestra italiana, quella dell’Accademia romana di Santa Cecilia della quale è direttore da dieci anni. In locandina la Nona di Beethoven, stessa sinfonia che ripeterà il giorno successivo al Foro Italico, stadio utilizzato solitamente per incontri di tennis.

Maestro Pappano, la sua musica s’apre dunque a nuovi spazi?
«Spazi nuovi e molto ampi, capaci di contenere migliaia di persone. L’obiettivo è proprio quello di avvicinare nuovo pubblico, persone che non sono abituate ad ascoltare musica e che di solito non frequentano sale da concerto, speriamo di creare con loro un nuovo rapporto».

Per far questo ha scelto Beethoven, la Nona, perché?
«Perché innanzi tutto ci consente di esibirci con tutta la famiglia, l’orchestra, il coro diretto da un vostro concittadino, il napoletano Ciro Visco. E poi perché la Nona è un’opera monumentale in cui Beethoven a distanza di secoli ci insegna a affrontare con coraggio le sfide, a lottare per un ideale, a non aver paura. Una partitura particolarmente ricca di emozioni, un grido d’amore verso il prossimo, un meraviglioso viaggio».

In che senso?
«Ogni sinfonia, lo sosteneva Mahler, è un viaggio. Ma questa, se vogliamo, lo è di più. È come se Beethoven avesse voluto farci un regalo finale. Quando la musica strumentale non basta, ci vogliono le voci. E lui aggiunge il meraviglioso coro finale, le voci dei solisti (Rachel Willis-Sørensen, Adriana Di Paola, Brenden Gunnell e Thomas Tatzl) e l’Inno alla gioia».

«Inno alla gioia» che dal 1985 è l’inno ufficiale dell’Unione Europea...
«Già, sembra una cosa ironica cantare dell’Europa unita in questo momento. Ma quando abbiamo pensato di fare la Nona Sinfonia non si pensava alla brexit né si immaginava che il voto popolare portasse a questo».

Lei divide professionalmente la sua vita tra Londra dove guida la Royal Opera House e Roma con Santa Cecilia, come vive questo momento in cui la Gran Bretagna sta per uscire dalla comunità europea?
«Certamente io continuerò così, una vita ardua. Londra e Roma mi consentono di sviluppare due aspetti diversi della mia attività, da una parte l’opera, dall’altra la sinfonica. Per quanto riguarda la situazione, ho già detto nei giorni scorsi di essere contrario all’uscita, penso ai giovani, al fatto che abbiamo vissuto un lungo periodo di pace, agli effetti negativi dell’isolamento. Purtroppo, politicamente parlando, in un mondo così in movimento, come singoli possiamo fare poco. Però possiamo dare l’esempio».

Quale in particolare?
«L’esempio della musica. Se si pensa a come è fatta un’orchestra, alla sua composizione. È un organismo fatto di persone, di singoli, ma all’interno del gruppo ognuno fa la sua parte con lo scopo finale di raggiungere l’armonia. Poi possiamo aggiungere il coro... L’orchestra è l’esempio di una società perfetta, gente che cammina insieme. Ma anche il messaggio di Beethoven è importante».

Dica.
«Veda, naturalmente Beethoven non ha scritto l’”Inno alla gioia” pensando all’Europa. Lui pensava all’importanza della collaborazione tra creature, pensava alla dignità delle persone, all’armonia. In questo senso la sinfonia è un viaggio che i musicisti intraprendono insieme al pubblico, per me questo è molto importante soprattutto se si tratta di un pubblico che non ha mai ascoltato questa musica e affronta “il viaggio” per la prima volta, un percorso arduo, ma ne vale la pena».

Lei aveva diretto l’orchestra romana insieme con quella del San Carlo in piazza del Plebiscito nel 2009.
«Un’occasione bellissima. Un concerto verdiano nel quale, alla fine, facemmo cantare il “Va’ pensiero” anche al pubblico. Certo qui il repertorio non consente queste libertà...». 

Diceva però dell’importanza di spostarsi verso Sud.
«Già, un peccato non venirci più spesso. Quando Daniel Oren mi ha invitato ho subito accettato, perché era una opportunità per correggere questa mancanza verso il Meridione d’Italia. E pensare che con Santa Cecilia facciamo molte tournée in giro per il mondo».

E il San Carlo?
«Al San Carlo mi invitano, non è per cattiva volontà, ma ho sempre un’agenda pienissima, al momento non è in programma».

Però tornerà presto a Castelfranco in Miscano, il paesino del beneventano dove ogni estate lei ricorda suo padre Pasquale, anche lui musicista.
«Sì farò un concerto il 12 agosto, dovremmo anche inaugurare la Casa della musica che sarà intitolata a lui, una voce da tenore, un grande appassionato di lirica e canzoni napoletane. Sarà la mia nuova “casa” nel paesino da dove partirono i miei genitori».
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