Sorrentino: «Rosi autore mondiale capace di andare oltre ogni canone»

di Oscar Cosulich
Sabato 10 Gennaio 2015, 23:46 - Ultimo agg. 23:48
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«Rosi per me era tante cose, ma innanzitutto un collega meraviglioso: quando avevo girato il mio primo film, che allora non ha visto nessuno, lui mi chiamò per dirmi che gli era piaciuto. Un gesto inusuale e atipico il suo, in un mondo come il nostro che, come ho scoperto poi, vive invece di diffidenze e sospetti reciproci. Quel suo slancio generoso, per me, è stato di grande incoraggiamento e insegnamento. Nel mio piccolo, ho sempre cercato di tenerlo a mente quando poi mi sono trovato di fronte a nuovi autori». Paolo Sorrentino non nasconde il dolore per la scomparsa di un collega che considera un maestro e ne ricorda la figura.

Dal punto di vista professionale come giudica l’opera di Rosi?

«Tutto il suo cinema insegna la serietà: Rosi mi ha fatto capire che il cinema non è una passeggiata, né un universo di divertimento, ma un lavoro impegnativo, che devi sempre affrontare studiando e documentandoti su tutto quello che vuoi raccontare. È questo che ho fatto in un film come “Il Divo”, ma non solo in quello: ho cercato di guardare alla sua lezione di serietà e rigore, documentandomi minuziosamente prima ancora di iniziare a scriverlo. Rosi però è un maestro inarrivabile».

Si spieghi.

«Il suo cinema è portatore di un “mondo nuovo”, perché non si appoggia a nessun predecessore illustre: Rosi ha dalla sua un metodo e uno stile tanto nuovi, originali e potenti, che lo rendono un maestro a livello mondiale come pochissimi altri. Ci sono, infatti, tanti grandi o grandissimi registi, che però nella loro carriera si sono limitati a seguire canoni consolidati, lui no. Rosi apre un mondo a se stante, con una produzione enormemente vasta e varia».

Non le piace il fatto che il suo sia stato etichettato come «cinema di denuncia»?

«Non mi piace perché è limitante e lui è molto di più. Per fare la “denuncia” basta dire che nella politica ci sono i ladri, ma Rosi non si è fermato lì: ha anche diretto la “Carmen”, ha fatto incursioni nel favolistico».

Pensa a «C’era una volta»?

«Anche, ma non solo. Un film come “I Magliari”, ad esempio, è grandioso per come sa esplorare l’animo umano, mostrandone la miseria, ma non soffermandosi solo su quella: è un reperto prezioso sul nostro Paese. D’altra parte non si può dimenticare che il suo cinema era chiamato anche a colmare i vuoti dell’informazione, in un’epoca in cui la televisione non aveva ancora il ruolo dominante che ha conquistato oggi e Rosi svolgeva questo compito in modo straordinario, pur trascendendo sempre i limiti della mera denuncia».

Se dovesse scegliere il suo film del cuore nella filmografia del maestro, quale sarebbe?

«Il mio preferito è “Il caso Mattei”. Non solo perché è sconvolgente il modo di raccontare l’intera vicenda, ma per la sua profonda incursione nell’animo dell’essere umano, con un lavoro di messa in scena di una bellezza inesorabile».