Torre Annunziata, mamma coraggio uccisa: il boss resta all'ergastolo

Omicidio Sorrentino, i giudici d'Appello confermano il carcere a vita per Tamarisco

Alfredo Gallo, il killer di Matilde Sorrentino
Alfredo Gallo, il killer di Matilde Sorrentino
di Dario Sautto
Venerdì 10 Novembre 2023, 23:40 - Ultimo agg. 11 Novembre, 16:44
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Francesco Tamarisco fu il mandante dell’omicidio di Matilde Sorrentino, la mamma coraggio che denunciò i pedofili della scuola degli orrori del rione Poverelli di Torre Annunziata. A quasi vent’anni da quell’efferato delitto, per il potente narcotrafficante è arrivata la conferma della condanna all’ergastolo. Neanche i giudici della Corte d’Assise d’appello di Napoli (presidente Alfonso Barbarano, giudice a latere Davide Di Stasio) hanno avuto dubbi ed è arrivata la conferma della sentenza di primo grado.

Le indagini, condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata, erano state coordinate dal procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli, fino a due anni fa in forza alla Procura di Torre Annunziata e minacciato in aula dallo stesso imputato nel corso del processo di primo grado.

A rappresentare l’accusa in appello in aula c’era il sostituto procuratore generale Stefania Buda. Parti civili si sono costituiti i figli con gli avvocati Elena Coccia e Mariagiorgia de Gennaro, accanto a loro il Comune di Torre Annunziata (avvocato Flavio Bournique). 

Matilde Sorrentino fu uccisa la sera del 26 marzo 2004 sull’uscio della sua abitazione al Parco Trento di Torre Annunziata. L’esecutore materiale dell’omicidio, il killer Alfredo Gallo, fu subito arrestato e sta scontando una condanna all’ergastolo definitiva. Secondo l’accusa, Gallo fu assoldato da sperché da minorenne aveva già ucciso un innocente: ad appena 16 anni, ammazzò l’imprenditore Andrea Marchese nel corso di una rapina. Tornato libero, si avvicinò ai Tamarisco e il narcotrafficante gli commissionò l’omicidio di una donna. In cambio – hanno ricostruito gli investigatori – gli avrebbe versato un vitalizio in carcere (500 euro al mese) per il suo silenzio, acquistato una costosa auto e versato un cachet da 50mila euro. Il movente era semplice: con le sue denunce, Matilde Sorrentino aveva contribuito a far arrestare e condannare in primo grado Tamarisco per pedofilia, sentenza di condanna poi cancellata definitivamente in appello da una assoluzione.

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Un affronto che Tamarisco decise di punire. Nel corso del processo d’appello, ai racconti dei tanti collaboratori di giustizia si è aggiunto anche quello di Pietro Izzo, per un periodo reggente del clan Gionta e nel 2004 fedelissimo del boss Pasquale Gionta. Durante la sua testimonianza in aula, ha confermato le accuse contro l’imputato ed ha raccontato che i Gionta gli avevano ordinato l’omicidio di Francesco Tamarisco, perché si era macchiato di un delitto «infame», quello di una donna innocente. L’arresto di Izzo, avvenuto qualche settimana dopo, salvò Tamarisco. Ora, la sentenza di secondo grado restituisce un chiaro quadro delle accuse che lasciano Tamarisco in carcere, in attesa del ricorso in Cassazione che sarà sicuramente presentato dai suoi legali. 

Per Torre Annunziata, quel maledetto 26 marzo di quasi vent’anni fa rimarrà per sempre una data triste. «Eppure, anche nella morte bisogna essere fortunati - è l’amara considerazione dell’avvocato Elena Coccia - perché la storia di Matilde è stata spesso dimenticata perché nello stesso giorno a Napoli fu uccisa Annalisa Durante. Per lei sono nate associazioni, fondazioni, sono stati dedicati eventi. Su Matilde per anni è calato il silenzio. Eppure questa vicenda ha spezzato tre vite: quella di Matilde e quella dei due figli. Con un po’ di attenzione in più da parte della magistratura e delle istituzioni - aggiunge l’avvocato Coccia - Matilde Sorrentino non sarebbe morta. Io la assisto da 27 anni, da quando decise di denunciare la pedofilia. Era più vecchia di me, ma poi è rimasta 46enne per sempre e io ho qualche anno in più di lei. Adesso, dopo tanti anni, siamo ancora qui e abbiamo ottenuto un’altra condanna all’ergastolo, quella che si chiama giustizia. Intanto, i figli di Matilde da anni sono usciti dal programma di protezione perché così prevede la norma, nonostante sia ancora in corso un processo: loro - conclude - sono costretti a vivere lontano da Torre Annunziata e continuano a sentire la mancanza della loro terra».
 

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