Guarino: tra i banchi sono i malati di Hiv a correre rischi

Guarino: tra i banchi sono i malati di Hiv a correre rischi
Venerdì 30 Ottobre 2015, 01:59
2 Minuti di Lettura
Lorenzo Calò
«Quello che è successo è semplicemente vergognoso. Capisco che possano esserci resistenze dovute a pregiudizi o all'ambiente circostante ma dal punto di vista medico-sanitario non sussiste alcun rischio per la comunità dei piccoli studenti ad avere in classe un compagno con problemi di Hiv. A meno di comportamenti anomali che non rientrano comunque in questo caso». Il professor Alfredo Guarino, direttore della Scuola di Pediatria e dell'Uoc di Malattie infettive pediatriche dell'università Federico II ha in cura la piccola Francesca (nome di fantasia) da circa un anno. «E ha fatto anche molti progressi - dice - Vede: è molto triste dover constatare come questi bambini debbano subire un processo di esclusione pur non rappresentando un problema per gli altri. Semmai è il contrario».
Ci spieghi, professore.
«Sì. Perché in caso di qualche infezione a scuola, i soggetti più a rischio sono proprio i piccoli pazienti colpiti dal virus Hiv, che hanno cioè il sistema immunitario più vulnerabile».
Quanti ne avete in cura?
«Attualmente circa cinquanta. Vengono da noi da tutta la Campania».
E che risultati state conseguendo?
«La ricerca immunologica ha fatto progressi importanti negli ultimi anni in campo pediatrico. Oggi riusciamo a stabilizzare questi piccoli pazienti e a tenerli sotto controllo. Per questo dico che è di enorme tristezza dover constatare che nonostante tutto bambini così siano comunque condannati a restare nell'ombra».
Probabilmente le famiglie degli altri alunni, o gli stessi insegnanti hanno temuto pericoli per la salute.
«Ed è un fatto terribile. Questi soggetti non costituiscono alcun rischio per la comunità, ripeto, a meno di casi anomali che nella questione in esame non sussistono. Ma l'aspetto che più mi inquieta è un altro».
Quale?
«Noi abbiamo progressivamente recuperato questi piccoli pazienti a un livello di vivibilità quanto più normale possibile dal punto di vista clinico; e invece, per contro, si registra purtroppo un diffuso sentimento di esclusione, di respingimento ingiustificato nei loro confronti. Le racconto un altro episodio».
Di cosa si tratta?
«Nelle settimane scorse abbiamo riunito circa cento piccoli pazienti, cento bambini, affetti da questo tipo di problema, provenienti da tutta Italia».
E dove?
«Questo è il punto. Non lo dirò mai. In un convento. Siamo stati costretti a fare lì questo incontro perché se avessimo scelto un albergo, o avremmo ottenuto un rifiuto o dopo in quell'hotel non sarebbe entrato più nessuno».
Vanno tutti a buon fine gli interventi di recupero dal punto di vista clinico?
«Purtroppo no. Ma negli ultimi anni, come dicevo, la risposta immunologica in età pediatrica ci ha portato a conseguire traguardi importanti. Certo, resta il rammarico per quelli che ho perso».
Quanti?
«Circa trenta. In dieci anni».
© RIPRODUZIONE RISERVATA