La grande corsa, il segretario snobba la sinistra interna

La grande corsa, il segretario snobba la sinistra interna
Martedì 20 Gennaio 2015, 03:10
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Nino Bertoloni Meli
Roma. Allo show down si è arrivati. A questo punto il pari e patta appare molto, molto difficile. La situazione è di quelle dove uno vince e l'altro perde. Da una parte la maggioranza renziana democrat convinta, di più, determinata a far passare la sospirata legge elettorale che cancella il Porcellum; dall'altra le minoranze dem che fanno muro non sull'Italicum, ma sui capilista bloccati. E nessuno intende retrocedere. Matteo Renzi ha incontrato i senatori del Pd, ha ascoltato, ha capito che le mediazioni ormai sono impossibili, ed è sbottato: «Non è che mi faccio prendere in giro, guardiamoci negli occhi, il problema a questo punto non sono i capilista bloccati, se devono essere il 30 o il 60%, a questo punto il problema è politico, e come tale va risolto». Conclusione: i senatori dem si sono presi altre 24 ore di tempo, ma oggi si vota. E si deve decidere.
In serata arriva alla Camera Lorenzo Guerini, il vice di Renzi: «A questo punto non ci sono più mediazioni. Le abbiamo fatte in passato, sulle soglie, sul premio alla lista, non è che adesso si può venire a dire che il problema sono le percentuali dei capilista bloccati, che il problema è sempre un altro». Dunque? «Se vogliono tornare al 2013, a quella legge elettorale e al caos per l'elezione del capo dello Stato, lo dicano. Noi non ci stiamo».
A guidare il fronte del no, con Gotor, sono proprio i bersaniani. Significa che Bersani è passato a una posizione vicina alla rottura? Sembrerebbe di sì. I due, Renzi e Bersani, si sono incontrati segretamente la scorsa settimana. Un colloquio di un'ora buona, al termine del quale si è capito che le cose non sono andate per il verso giusto. Il premier segretario avrebbe passato in rassegna con il suo predecessore un po' tutti i nomi sul tappeto per la corsa al Colle, senza spendersi per nessuno, senza mostrare preferenze, tanto che al termine, confidandosi con qualcuno dei suoi più stretti, Bersani si sarebbe mostrato «interdetto» per l'esito del colloquio. Un altro faccia a faccia, Bersani lo ha avuto con Pippo Civati, con quest'ultimo nella parte del pungolo: «Pierluigi, vi dovete dare una mossa. Avete fatto passare il Jobs act, sul decreto fiscale hanno alzato la voce altri, la riforma costituzionale la state facendo passare, non è che potete arrivare adesso e fare le barricate sui capilista».
Come se ne esce? Oggi i senatori del Pd voteranno nel gruppo, dovrebbe finire con 20 contrari su 100. Ma se poi in aula i contrari manterranno il loro no, si porrà un problema politico nel gruppo, e un problema di numeri in aula. «Sono tutti colleghi adulti, è tutta gente vaccinata e politicamente accorta, non è che non capiscano che si sta giocando la partita politica del prosieguo delle riforme e del prosieguo della legislatura», scandisce Giorgio Tonini, membro della segreteria. E anche se Bersani ha minimizzato, «ci sono anche altri modi di esprimere dissenso, tipo non votare», al Senato però l'astensione equivale a voto contrario, e uscire dall'aula significa comunque non attenersi ai deliberati della maggioranza, «e questo non è un voto di coscienza». Gira l'ipotesi di riscrivere l'intera legge elettorale in un emendamento a firma Esposito, in modo da far decadere tutti gli altri, in primis il Gotor, «non so se lo faranno, ma non sarebbe un procedimento molto democratico», stoppa Nico Stumpo.
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