Omicidio Alessandra Matteuzzi, i giudici della Corte d'Assise: «Movente era desiderio di vendetta. Fu un delitto d'onore»

I giudici scrivono che Padovani era mosso da un sentimento di rancore e da un senso di frustrazione

Omicidio Alessandra Matteuzzi, i giudici della Corte d'Assise: «Movente desiderio di vendetta. Fu un delitto d'onore»
Omicidio Alessandra Matteuzzi, i giudici della Corte d'Assise: «Movente desiderio di vendetta. Fu un delitto d'onore»
Venerdì 8 Marzo 2024, 15:12 - Ultimo agg. 9 Marzo, 07:27
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L'8 marzo 2024 succede che venga evocato il delitto d'onore, scomparso dal nostro codice più di trent'anni fa. Eppure la situazione è ancora questa se i giudici della Corte d'Assise di Bologna motivando l'ergastolo per il 28enne Giovanni Padovani dicono che più che un delitto d'amore fu un delitto d'onore visto che il movente che ha armato il killer di Alessandra Matteuzzi è stato un desiderio di vendetta. La 56enne è stata uccisa a colpi di martello il 23 agosto 2022 sotto la casa in cui viveva, in via dell'Arcoveggio, a Bologna. 

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Omicidio Alessandra Matteuzzi, i giudici: «Irresistibile desiderio di vendetta»

«È improprio attribuire l'omicidio» di Alessandra Matteuzzi «ad una insana gelosia dell'imputato, la quale, semmai, costituì il movente del delitto di atti persecutori, mentre l'omicidio fu motivato da un irresistibile desiderio di vendetta, uno tra i sentimenti più irragionevoli, eppure imperativi».

Così la Corte d'Assise di Bologna nel motivare la condanna per l'ex calciatore Padovani, responsabile dell'omicidio aggravato dell'ex compagna. Per i giudici si tratta non tanto di un «"omicidio d'amore" quanto piuttosto di un 'omicidio d'onore", sia pure in una malintesa accezione di quest'ultimo».

Dalle testimonianze raccolte «emerge la prova dell'ideazione da parte dell'imputato di un proposito vendicativo» nei confronti dell'ex compagna Alessandra Matteuzzi, «manifestato fin da giugno e nel luglio 2022 con estrema lucidità, come si può cogliere dal richiamo consapevole alle conseguenze di tale gesto ovvero alla possibilità di andare in carcere», motivando così la sussistenza dell'aggravante della premeditazione per Padovani.

Si trattò, per i giudici presieduti da Domenico Pasquariello di «un vero e proprio agguato preparato nelle sue linee essenziali di azione». «Deve ritenersi acquisita la prova che la condotta omicidiaria non sia stata determinata da un mero moto d'impeto - aggiunge quindi la Corte - ma sia maturata e si sia progressivamente radicata negli intenti dell'omicida, sia stata persino preannunciata nelle confidenze fatte a terzi e alla madre nelle annotazioni sul cellulare, e poi attuata secondo un piano predeterminato, comprensivo della scelta dell'arma da usare e del luogo in cui colpire».

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Carattere ossessivo-maniacale

Nel processo è emerso «il carattere ossessivo-maniacale delle forme di controllo che l'imputato attuava nei confronti della compagna e come fosse stato spinto da una forza irresistibile, ingenerata da un sentimento di rancore e da un senso di frustrazione, a ritornare a Bologna per assassinarla». Lo scrive la Corte di assise di Bologna, in un passaggio delle motivazioni della sentenza.

Parla di «una messa in scena» la Corte di assise di Bologna per descrivere il comportamento del killer dichiarato capace di intendere e di volere da una perizia psichiatrica, accertamento cruciale nel processo. Conclusioni a cui i giudici hanno aderito pienamente. La Corte ritiene «che le bizzarrie comportamentali dell'imputato, talora anche grossolanamente enfatizzate, seguite sovente da prese di posizione invece consapevoli e responsabili, soprattutto negli snodi decisivi del processo, le risultanze dei test, con risposte sbagliate anche alle domande più banali e infine l'asserzione di una tardiva insorgenza di sintomi psicotici, forniscano indicazioni che sembrano coniugarsi tra loro soltanto nella prospettiva di una intenzionale messa in scena dell'imputato». La perizia psichiatrica aveva concluso che in alcuni casi l'imputato avesse simulato sintomi psicotici. E anche le ultime dichiarazioni spontanee, in aula proprio il 12 febbraio, secondo la Corte confermano l'ipotesi che Padovani «abbia simulato consapevolmente determinati atteggiamenti». 

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