Concorsi truccati all'Università, il commissario spagnolo «corteggiato» dai prof

Concorsi truccati all'Università, il commissario spagnolo «corteggiato» dai prof
di Mary Liguori
Giovedì 28 Settembre 2017, 08:50 - Ultimo agg. 29 Settembre, 10:42
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La tornata di abilitazione all'insegnamento accademico del 2015 è il cuore delle indagini che hanno portato al terremoto che ha travolto il mondo accademico italiano. Il 3 marzo di quell'anno, infatti, in due distinti momenti e a distanza di chilometri si adoperano per gli stessi motivi, abilitare «raccomandati» secondo la procura di Firenze, i professori Fabrizio Amatucci, napoletano, docente alla Federico II e alla Luigi Vanvitelli di Caserta, e Adriano Di Pietro, dell'Università di Bologna e titolare, dal 2007 al 2010, di un master al Suor Orsola Benincasa di Napoli. I due vengono intercettati nei rispettivi studi mentre coordinano i propri allievi per la stesura dei giudizi dei candidati sottoposti alla commissione di cui fanno entrambi parte. Ognuno tira acqua al «suo mulino», nell'ottica dei candidati come «merce di scambio» e se, a Napoli, Amatucci detta le relazioni finali alle proprie assistenti, a Bologna, Di Pietro, fa di più, molto di più. Colui che redige i giudizi sotto la sua supervisione è uno dei candidati in corsa per l'abilitazione. Giudica, dunque, chi deve essere giudicato. Per il gip Antonio Angelo Pezzuti si tratta di un comportamento di «maggiore gravità» rispetto a quello di Amatucci che ha commissionato la stesura delle relazioni alle sue allieve. Di Pietro si rende protagonista di un colloquio che il gip definisce «inequivocabile». Il professore dice a Marco Greggi, suo assistente tributarista di Forlì candidato all'abilitazione «secondo, se mi cominci a fare un po' di screening delle posizioni dei concorsuali» e Greggi, secondo il giudice «evidentemente già a conoscenza dei nomi dei candidati», risponde «Certo... Beh oggi sono andato abbastanza avanti con... con tutti quanti gli excel non ho caricato le pubblicazioni perché è un po' lunghetto come lavoro, però nei prossimi giorni faccio anche quello, carico foglio per foglio».

Il 10 marzo, Greggi comunica a Di Pietro i risultati ai quali è giunto. Il professore esordisce «mi metto già avanti... e trovo già l'accordo... ne ho già da.. ehm... il giudizio. E come tutti, si adegueranno al mio...». Quando Greggi chiede spiegazioni sul metodo, Di Pietro chiarisce: «Tutto è giocato sulla motivazione».

Per il giudice che ha ordinato l'arresto dei sette tributaristi il metodo di Di Pietro è simile al «codice» di Amatucci: qualsiasi valutazione è possibile purché supportata da una motivazione apparente. In quel frangente si è però creata una evidente frattura tra le due fazioni che compongono la commissione. Si vivono frizioni tali da alimentare veleni e ripicche. Ciascun commissario intende far passare i propri candidati, attingere all'«eredità» messa in bottega nelle precedenti tornate, quando ha supportato l'elezione di questo o quel candidato per fare «un favore» ai colleghi. Per questa ragione, quando il professor Carlos Maria Lopez Espadafor sbarca a Linate si scatena un selvaggio corteggiamento.

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