Giornata della memoria, Marco Di Porto e l'atto di nascita di «Razza ebraica» mai cancellato

Sopravvissuto ai rastrellamenti, il volontario della Fondazione Museo della Shoah racconta la prima cioccolata della sua vita

Marco Di Porto, Fondazione Museo della Shoah
Marco Di Porto, Fondazione Museo della Shoah
di Emilia Mangiapia
Sabato 27 Gennaio 2024, 11:27 - Ultimo agg. 28 Gennaio, 09:15
4 Minuti di Lettura

In occasione della Giornata della memoria delle vittime dell'Olocausto il volontario della Fondazione Museo della Shoah di Roma Marco Di Porto racconta la sua esperienza di sopravvissuto ai rastrellamenti del Nazi-fascismo in Italia.

Marco Di Porto ha ancora il certificato di nascita risalente al 18 maggio 1941 nel quale è specificata la sua «Appartenenza alla razza ebraica». L'atto, infatti, non fu mai cestinato e Marco lo conserva come testimonianza delle barbarie di quell'epoca. Sul certificato fu anche specificato che il parto sarebbe avvenuto per mezzo di un'ostetrica di religione ebraica, a causa di una delle leggi vigenti in Italia negli anni della seconda guerra mondiale.

Marco racconta poi che nel settembre del 1938 il padre Vittorio Di Porto fu chiamato in azienda dal proprio titolare per comunicargli del suo licenziamento a causa della sua appartenenza alla comunità ebraica. 

Ancora, Marco Di Porto racconta: «Il 16 ottobre 1943 i tedeschi salirono su 65 camion, non parlavano una parola di italiano, era la prima volta che venivano a Roma, ma avendo la mappa della città andarono casa per casa, quartiere per quartiere, dov'era indicato il domicilio degli ebrei. Ma persero anche del tempo perchè passando avanti al Colosseo, il Circo Massimo, il Teatro Marcello, si fermavano ad ammirare queste antichità romane che non avevano mai visto. La razzia comportò la deportazione di 1.250 ebrei, di cui 250 erano bambini, che partirono da Tiburtina e arrivarono al campo di sterminio di Auschwitz Birkenau».

Testimone dell'epoca, Marco mostra alcune foto di sé e della sua famiglia scattate in quei giorni e ricorda che era a casa con sua zia quando la vicina diede l'allarme e consentì a loro di fuggire prima di essere rastrellati dai tedeschi. Insieme con la sua famiglia, Marco si nascose in un convento di Roma per alcuni mesi.

Durante questi mesi Marco racconta di aver imparato il francese grazie alla madre e di essere cresciuto insieme alla famiglia che si creò in quella comunità ebraica, dove hanno provveduto da soli a procurarsi da mangiare e da bere: «Sono entrato il 18 ottobre 1943 e ne sono uscito il 4 giugno 1944», ripercorre Marco Di Porto, ricordando anche il giorno in cui tutti furono avvisati dalle monache del convento della liberazione di Roma dai nazifascisti.

Marco conclude il suo racconto con un aneddoto curioso, lui piccolo sulle spalle dello zio affascinato dai carri armati americani in strada. Da uno di questi si calò un soldato americano che cedette a Marco una cioccolata: «È stata la prima cioccolata della mia vita, la più buona che abbia mai mangiato». 

Video

Oggi Marco Di Porto è volontario della Fondazione Museo della Shoah di Roma, tramite la quale testimonia la sua storia e quelle di tanti altri dell'era nazifascista romana.

La Fondazione è nata nel luglio 2008, con l’obiettivo di perseguire il difficile compito di ricordare questi avvenimenti storici. La valorizzazione e la crescita del museo è indirizzata inoltre a risolvere un problema che sta diventando, col trascorrere degli anni, sempre più serio: la scomparsa di testimoni diretti della Shoah.

Con l’avanzare dell’età anagrafica, i pochi testimoni rimasti stanno man mano diminuendo, aumentando il rischio di rendere vani i loro sforzi e il loro impegno nel mantenere viva una memoria storica che sia di insegnamento alle generazioni future. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA