Olindo e Rosa, strage di Erba: il giallo dei reperti mandati all’inceneritore (e c’era il no dei giudici)

Il gip di Como: "distruzione illegittima". Ma non essendo stato dimostrato il dolo, l'inchiesta sui cancellieri è stata archiviata

Olindo e Rosa, strage di Erba: il giallo dei reperti mandati all’inceneritore (e c’era il no dei giudici)
Olindo e Rosa, strage di Erba: il giallo dei reperti mandati all’inceneritore (e c’era il no dei giudici)
di Valeria Di Corrado
Sabato 13 Gennaio 2024, 00:00 - Ultimo agg. 15 Gennaio, 07:07
5 Minuti di Lettura

Non solo sono sparite nel nulla delle intercettazioni che avrebbero potuto rivelarsi preziose per le indagini sulla strage di Erba. Sono andati «illegittimamente distrutti» in un inceneritore, come ha scritto il gip del Tribunale di Como, anche vari reperti presenti sulla scena del delitto l’11 dicembre 2006, che i legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi avrebbero potuto utilizzare come prove per dimostrare la loro innocenza nell’istanza di revisione del processo accordata martedì scorso dalla Corte di appello di Brescia.

Strage di Erba, la difesa di Olindo e Rosa: «Hanno disturbi psicopatologici importanti. Incapaci di dichiarazioni valide»

Strage di Erba, il giallo dei reperti mandati all’inceneritore

Un altro inquietante mistero avvolge questo caso giudiziario, conclusosi a maggio del 2011 con una sentenza irrevocabile che ha portato i coniugi a scontare il resto della loro vita in carcere, ma su cui l’opinione pubblica si divide tra colpevolisti e innocentisti. Il 12 luglio del 2018 a Roma la Corte di Cassazione si era riunita per decidere se accogliere il ricorso di Olindo e Rosa e consentire loro di eseguire un incidente probatorio per analizzare delle prove rinvenute nel condominio di via Diaz. A Como, poche ore prima dell’udienza, Angelo Fusaro, responsabile dell’Ufficio corpi di reato del Tribunale, aveva portato 176 reperti all’inceneritore, compresi quelli della strage di Erba. Eppure c’era un’ordinanza del 3 luglio 2017 della Corte d’assise di Como (quindi dello stesso ufficio giudiziario di cui faceva parte Fusaro) che aveva sospeso la distruzione di quel materiale «fino all’esito della decisione definitiva sull’incidente probatorio». 

 


LE DENUNCE
I coniugi Romano hanno quindi presentato a novembre del 2018 dai rispettivi penitenziari nei quali erano reclusi due distinte denunce per una serie di reati, tra cui sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e violazione della pubblica custodia di cose. «Risulta - si legge nella denuncia - che, clamorosamente, nello stesso giorno in cui doveva pronunciarsi la Cassazione, reperti mai analizzati necessari all’approfondimento scientifico per l’eventuale richiesta di revisione, sono stati distrutti nonostante tutti i provvedimenti di sospensione emessi dalle varie autorità giudiziarie».

I difensori della coppia avevano infatti chiesto ai giudici di analizzare una serie di campioni che si trovavano custoditi al dipartimento di Medicina forense dell’Università di Pavia e presso i Ris di Parma. Tra questi c’erano «formazioni pilifere trovate sulla felpa di Youssef Marzouk e mai analizzate», così come il materiale rinvenuto sotto i polpastrelli e le unghie del bimbo di due anni barbaramente ucciso insieme alla madre, Raffaella Castagna, alla nonna, Paola Galli; nonché tracce di sangue sulla tenda della casa di Valeria Cherubini, la vicina rimasta coinvolta nel delitto. Mentre all’Ufficio corpi di reato di Como i legali di Olindo e Rosa avevano chiesto di analizzare altri reperti, tra cui un cellulare, una tanica, 8 coltelli, un mazzo di chiavi, mozziconi di sigaretta, i giacconi delle tre donne uccise, due bicchieri, orologi e gioielli vari. «Le attuali moderne e più precise strumentazioni di analisi genetico-forense - si legge nella richiesta di incidente probatorio che era stata presentata alla Corte d’appello di Brescia il 5 aprile 2016 - potrebbero infatti permettere di rilevare sulla scena del delitto, nonché sui campioni biologici, tracce non rilevate durante le indagini nel 2007 e riconducibili a diversi soggetti rispetto ai coniugi Romano». 


LA PISTA ALTERNATIVA
Prove che sarebbero servite a chiarire la sussistenza della pista alternativa sulla presunta spedizione punitiva di un gruppo rivale di spacciatori in “guerra” con i fratelli di Azouz Marzouk. La Procura di Como, la stessa che ha condotto l’inchiesta su Olindo e Rosa, proprio sulla base delle loro denunce, aveva aperto un’indagine sul funzionario giudiziario che materialmente portò a incenerire quel materiale, e sul suo superiore, Francesco Tucci, direttore della cancelleria penale con compiti di coordinamento dell’Ufficio corpi di reato. Angelo Fusaro, sentito dal pm, si è giustificato dicendo di aver dato esecuzione all’ordinanza di distruzione disposta il 4 maggio del 2016 dalla Corte d’assise di Como, non sapendo che il successivo 3 luglio si era pronunciata diversamente. Tucci, invece, dal canto suo, si è difeso dicendo di averlo «comunicato a voce a Fusaro, data l’importanza del caso»; «raccomandandogli di non procedere alla distruzione».

Le indagini non sono riuscite a stabilire chi dei due avesse ragione e nemmeno è stato dimostrato il dolo. Di conseguenza, l’8 settembre del 2020 il gip del Tribunale di Como Andrea Giudici ha archiviato il caso, sottolineando però che «sul piano del fatto non vi è dubbio che la distruzione di due dei reperti della strage di Erba ha riguardato beni dei quali avrebbe dovuto essere assicurata la perdurante custodia, e deve ritenersi illegittima». Ma c’è di più. «La mancata adozione di qualsivoglia cautela, accorgimento o formalità nella custodia dei reperti della strage di Erba - spiega il giudice nel decreto di archiviazione - non pare costituire un’eccezione rispetto alla caotica gestione dei corpi di reato emersa durante un’ispezione ministeriale e all’insediamento della nuova responsabile dell’ufficio». Quest’ultima, sentita dai pm, ha confermato «la presenza di beni non sigillati né catalogati, ma appoggiati in terra, tra cui armi incustodite». «Successivamente è stato trovato uno scatolone con altri reperti della strage a cui erano stati tolti i sigilli - ha precisato l’avvocato Fabio Schembri, che difende i coniugi Romano insieme al collega Diego Soddu - Avevano messo le telecamere per capire chi fossero i responsabili ma anche in questo caso non se n’è venuti a capo». D’altronde gli ispettori del ministero della Giustizia avevano parlato di «diffuse irregolarità in tutte le fasi del processo di gestione dei corpi di reato» e avevano concluso descrivendo «un sostanziale abbandono del servizio, gestito durante la direzione di Tucci, in modo approssimativo e improprio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA