Strge di Erba, i nuovi testimoni che scagionano Olindo e Rosa: «Abbiamo visto tre uomini che uscivano da casa»

Il compagno di cella di Azouz Marzouk: "Mi disse di tenere d'occhio Raffaella e il figlio Yousseph. Sembrava molto spaventato"

Olindo e Rosa, il “socio in affari” di Marzouk: «Noi coinvolti in una faida di droga». I nuovi testimoni: «Tre uomini nella casa»
Olindo e Rosa, il “socio in affari” di Marzouk: «Noi coinvolti in una faida di droga». I nuovi testimoni: «Tre uomini nella casa»
di Valeria Di Corrado
Giovedì 11 Gennaio 2024, 00:39 - Ultimo agg. 12 Gennaio, 09:32
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 «Azouz mi ha detto, prima che io uscissi di galera, di tenere d’occhio Raffaella e il loro figlio Yousseph. Sembrava molto spaventato e scuro in volto». Dalle inedite testimonianze raccolte dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, allegate alla loro istanza di revisione del processo, prende sempre più forma e sostanza la pista alternativa sulla strage di Erba: una vendetta nei confronti di Azouz Marzouk da parte di un gruppo rivale di spacciatori magrebini che potrebbe aver messo in atto una spedizione punitiva contro sua moglie, Raffaella Castagna, e suo figlio di due anni Jousseph. Azouz infatti aveva confidato i suoi timori a un connazionale, Abdi Kais, suo compagno di cella (la numero 269) e suo ex “socio in affari” di droga. Il tunisino, ora 38enne, ha raccontato la faida per il predominio sulle piazze di spaccio del Comasco tra la banda tunisina di cui faceva parte Marzouk, insieme ai suoi fratelli e cugini, e una banda di marocchini. Le sue dichiarazioni sono state raccolte in una saletta riservata dell’hotel Royal Victoria di Tunisi, il 19 febbraio 2023, nell’ambito delle indagini difensive svolte dall’avvocato Fabio Schembri, alla presenza del legale di Kais, l’avvocato Ivano Iai.

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I SOSPETTATI
Altri due testimoni, finora mai ascoltati nei tre gradi di giudizio che hanno portato alla condanna all’ergastolo dei coniugi Romano, hanno riferito di aver notato - da diversi angoli visuali - tre persone sospette, di cui almeno due stranieri.

Il giorno dopo il quadruplice omicidio, i carabinieri della stazione di Erba avevano sentito a sommarie informazioni Fabrizio Manzeni, che abitava proprio in via Diaz, di fronte alla casa della strage. «Nella serata di ieri, 11 dicembre 2006, alle ore 20,20 circa, mi sono affacciato alla finestra per sbattere la tovaglia e ho notato due persone di sesso maschile, adulte, verosimilmente extracomunitari, in corrispondenza del cancello di casa mia, che stavano discutendo animatamente tra loro. Uno di loro aveva un cellulare con un display luminoso e grande e gesticolava con una terza persona che non ho visto. Stavano procedendo in direzione piazza Mercato».

«Quel verbale è stato trasmesso in Procura solo dopo la confessione di Olindo e Rosa, nonostante il pm - spiega l’avvocato Fabio Schembri, legale della coppia - avesse chiesto alla polizia giudiziaria l’assoluta priorità nella trasmissione degli atti d’indagine. Per di più c’è un altro testimone, che non conosceva Manzeni, che ha spiegato di aver visto due stranieri in piazza Mercato, provenienti da via Diaz, e che poi sono scappati in un furgono bianco». Si tratta di Ben Chemcoum, nordafricano di 56 anni: sentito dai carabinieri il 25 dicembre 2006 aveva riferito di aver «incrociato un uomo molto robusto, con il cappotto chiuso e le mani in tasca, con un berretto scuro», la sera dell’11 dicembre. Poi aveva visto un furgone bianco parcheggiato, dal quale veniva una voce che in lingua tunisina diceva «aia fisa», che significa «vieni subito» e «quella persona che aveva incrociato si è affrettata, quasi correndo. Quindi ho visto il furgone allontanarsi velocemente». Anche questo testimone, così come Kais e Manzeni, non è mai stato ascoltato nel dibattimento.

GUERRA TRA BANDE
«Abbiamo avuto una faida con i vicini di condominio, marocchini, per questioni di cocaina», ha aggiunto Abdi Kais a febbraio scorso. La lite era avvenuta in un palazzo di Merone, paese a 7 chilometri da Erba, dove il gruppo di Marzouk aveva una base. «Fhami negò di rifornire i marocchini e allora si presentarono con dei coltelli, puntandoli alla gola di Amer, dicendogli di portarli sopra, nell’appartamento di Merone. A quel punto sono intervenuti i vicini che avevano udito le grida. Si sono presentati per uccidere». Un raid che per le modalità ricorda “da vicino” quello avvenuto alcuni mesi dopo, la sera dell’11 dicembre 2006, nel condominio di via Diaz. Il presunto “commando” - armato di coltello e spranga - non si sarebbe fermato di fronte a nulla, uccidendo chiunque si trovasse sul proprio percorso: non solo Jousseph e Raffaella, ma anche la madre della donna, Paola Galli, una loro vicina di casa, Valeria Cherubini, e - se non avesse avuto una provvidenziale malformazione alla carotide - sarebbe morto quella sera anche Mario Frigerio, marito della Cherubini.

D’altronde proprio nell’appartamento della strage, stando a quanto riferito da Kais, veniva custodito il denaro provento dello spaccio. Dopo il blitz a Merone, «abbiamo spostato la base di custodia della droga solo a Erba, nel condominio di via Diaz. All’interno c’erano delle piante e la nascondevamo lì. I guadagni invece venivano custoditi in casa da Raffaella, insieme a orologi e altri oggetti di valore». La banda aveva scelto proprio quel palazzo, «perché - come ha precisato il tunisino - il cancello era sempre aperto: serviva un luogo centrale che collegasse tutte le zone, quindi era un posto strategico e soprattutto tranquillo». «Dopo aver saputo della strage, ho pensato a una rissa perché Fahmi (socio di Azouz, ndr) si stava esponendo sempre di più». Dopo aver espiato la sua pena, Kais è tornato in Tunisia. Non ha piacere a parlare perché è già stato minacciato e ha perso il lavoro due volte per questo, ma è pronto a rientrare in Italia e a presentarsi in aula a Brescia se dovesse ricominciare il processo. «Se in carcere ci sono due innocenti, vuol dire che il o i killer di Erba sono liberi», spiega il suo legale. 
 

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