Indi Gregory, domani lo stop alle macchine: la bimba inglese verrà trasferita in un hospice

La gravissima patologia mitocondriale senza cure che non lascia senza speranze

Indi Gregory, no all'appello: lunedì il distacco dalle macchine. La decisione dei giudici inglesi taglia fuori l'intervento italiano
Indi Gregory, no all'appello: lunedì il distacco dalle macchine. La decisione dei giudici inglesi taglia fuori l'intervento italiano
Venerdì 10 Novembre 2023, 11:58 - Ultimo agg. 11 Novembre, 07:27
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Il distacco delle macchine che tengono in vita la piccola Indi Gregory avverrà già domani e la bambina verrà trasferita in un hospice. Lo rendono noto Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus, e l'avvocato Simone Pillon, che stanno seguendo gli sviluppi del lato italiano della vicenda in contatto con i legali inglesi e la famiglia Gregory. Nell'udienza di oggi i giudici inglesi avevano fissato come termine per il distacco dei dispositivi vitali lunedì 13 novembre, ma successivamente, spiegano Coghe e Pillon, è stato precisato dai legali della famiglia che l'interpretazione corretta della sentenza indica che il distacco verrà effettuato il prima possibile, già domani. Indi Gregory è affetta da una gravissima patologia mitocondriale che la comunità medica internazione considera come sindrome incurabile, tanto che la piccola è in vita soltanto grazie alle macchine.

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Indi Gregory, Meloni in campo

Una battaglia che il governo Meloni ha sposato in pieno: non limitandosi a concedere la cittadinanza d'urgenza a Indi (come fece, invano, 5 anni fa anche il governo di Paolo Gentiloni per il caso analogo di Alfie Evans), ma intraprendendo tutta una serie di passi successivi.

Fino all'appello formale lanciato ieri da Giorgia Meloni in persona, e reso noto oggi, con una lettera al ministro della Giustizia e Lord Cancelliere della compagine Tory di Rishi Sunak, in cui si chiede apertamente un intervento politico di moral suasion per «sensibilizzare le autorità giudiziarie» dell'isola e permettere di trasferire la bebè dalla Gran Bretagna all'Italia «in nome della Convenzione dell'Aia del 1996»: «nello spirito »di collaborazione che da sempre contraddistingue i due Paesi« e »in tempo utile perché Indi possa accedere« al protocollo terapeutico offerto dall'ospedale Bambino Gesù. 

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Giudici inglesi inflessibili sul caso Gregory

Appello che potrebbe ancora modificare il corso delle cose, laddove l'esecutivo britannico fosse in grado di accoglierlo. E che tuttavia deve fare i conti con la fermezza e i tempi stretti fissati dalla giustizia d'oltremanica dopo l'ultima frenetica giornata d'attesa in tribunale. Segnata questa volta dalla pronuncia della Corte d'appello, che ha avallato la decisione del giudice dell'Alta Corte di Londra Robert Peel di dare il via libera ai medici di Nottingham a staccare la spina dei macchinari vitali, che avverrà domani. Il verdetto non ha aperto alcuno spiraglio al ricorso dei genitori, Dean Gregory e Claire Staniforth, assistiti in quest'ultima partita dall'avvocato Bruno Quintavalle, nemmeno per ottenere il permesso di portare a casa la figlioletta per il fine vita, insistendo al contrario nell'indicare un hospice come il luogo più adatto. Mentre ha liquidato come non in linea «con lo spirito della Convenzione dell'Aia» le istanze italiane per un passaggio spontaneo della giurisdizione alla Penisola, rivendicando alle corti del Regno il diritto di essere nelle condizione migliore per valutare la vicenda «nell'interesse superiore« della piccola».

 

Indi Gregory, i genitori non si arrendono

Una conclusione respinta su tutta la linea dalla onlus Pro Vita & Famiglia e dall'ex senatore leghista e avvocato Simone Pillon, impegnati sul lato italiano della vicenda giudiziaria al fianco dei legali attivati nel Regno e di un coordinamento di organizzazioni cristiane pro-life inglesi, secondo cui di qui a lunedì si tenterà ora di esplorare »altri percorsi« in extremis. I genitori di Indi si mostrano del resto decisi a non arrendersi fino all'ultimo secondo. Mentre moltiplicano i loro accorati appelli attraverso i media, da un lato esprimendo gratitudine all'Italia, dall'altro contestando sia l'atteggiamento disumano attribuito ai giudici britannici, sia la prognosi terminale sulla malattia d'Indi del medici dell'ospedale di Nottingham: centro assai reputato fra le strutture della sanità pubblica del Regno (Nhs), ma il cui reparto maternità è stato pure coinvolto di recente in un clamoroso scandalo di presunte negligenze conclusosi con condanne al pagamento d'indennizzi record.  

La situazione

Da Londra, intanto, un documento di vescovi cattolici britannici sottolinea la delicatezza di una vicenda nella quale la scelta di «sospendere terapie considerate sproporzionate» non può trasformarsi «in un'interruzione di trattamenti base per il sostegno di funzioni fisiologiche essenziali». Mentre da Roma, Giorgia Meloni e il ministro della Salute, Orazio Schillaci, rimarcano come la sanità italiana sia pronta ad accogliere Indi e come i medici del Bambino Gesù assicurino che un supplemento di assistenza non «le causerà alcun dolore». La bambina - fa eco il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano - «ha una grave malattia, certo, ma merita di essere curata non stroncata staccando le macchine». «Non so - aggiunge poi Mantovano, replicando a commenti di segno opposto - quali dati abbia per fare una valutazione di questo tipo chi ha parlato di accanimento terapeutico. La nostra valutazione è che ogni vita umana, soprattutto quella con maggiori condizioni di disagio, debba essere messa al centro dell'attenzione di tutti».

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