Iran minaccia Israele, chiuse 30 ambasciate: anche quella di Roma​. ll leader degli Hezbollah: «Punto di svolta nella guerra»

I funerali delle due vittime dell’attacco israeliano alla sede diplomatica iraniana in Siria

Iran minaccia Israele, chiuse 30 ambasciate: anche quella di Roma . ll leader degli Hezbollah: «Punto di svolta nella guerra»
di Raffaele Genah
Sabato 6 Aprile 2024, 00:22 - Ultimo agg. 7 Aprile, 11:51
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I due camion militari scoperti su cui sono esposte le bare avvolte nella bandiera iraniana attraversano la città di Teheran fendendo la folla che si è riversata in strada per i funerali Mohamned Reza Zahedi e del suo vice Mohamed Rahimi, «martiri sulla strada di Gerusalemme» come recita uno striscione. Due vittime dell’attacco israeliano alla sede diplomatica iraniana in Siria. Le grida ripetute e i cartelli esposti lungo il percorso invocano «morte a Israele» e «morte agli Usa». Minacce che hanno costretto il governo israeliano a chiudere 30 ambasciate in tutto il mondo, Italia compresa per l’allarme ritorsioni.

LA TENSIONE

Il capo delle operazioni dell’Irgc (Guardiani della rivoluzione iraniana) in Siria e Libano e il suo braccio destro sono stati uccisi lunedì scorso in un attacco mirato la cui responsabilità è stata immediatamente ricondotta a Israele.

Funerali ad alta tensione che hanno coinciso con il Jerusalem Day che la Repubblica islamica celebra nell’ultimo venerdì del Ramadan a sostegno dei palestinesi e per Gerusalemme Est capitale dello Stato che dovrà nascere. Se a tutto questo si aggiungono le minacce di ritorsioni lanciate in questi giorni e ribadite anche durante le esequie, si comprende come l’allarme sia salito ai massimi livelli in Israele e non solo. Il ministero degli esteri e l’intelligence hanno infatti deciso di far chiudere gli uffici di trenta rappresentanze diplomatiche in tutto il mondo, Roma compresa. L’allerta peraltro era già alto già nei giorni successivi al 7 ottobre quando erano stati richiamati in patria diplomatici che operavano in sette diverse missioni, dalla Giordania all’Egitto, al Bahrein, al Marocco e alla Turchia al Turkmenistan. Ma questa volta si è optato per una chiusura temporanea molto più vasta. 

LE MINACCE

«Nessun atto del nemico contro la sacra repubblica islamica rimarrà senza risposta» ha tuonato il comandante in capo dell’Irgc Hossein Salami davanti alle bare e al presidente Raisi e come di consueto gli ha fatto eco il leader di Hezbollah, Nasrallah. «L’attacco al consolato iraniano di Damasco è un punto di svolta nella guerra, che segna una nuova fase nella regione. L’Iran risponderà senza dubbio all’attacco israeliano: solo Khamanei può decidere dove e quando ci sarà questa risposta». In questa guerra – per fortuna ancora a livello di dichiarazioni- non è mancata la replica del ministro della Difesa israeliano Gallant. «Il nemico è stato colpito duramente e sta quindi cercando i modi per rispondere: noi siamo pronti con un’azione a più livelli di difesa. Preparazione e vigilanza - ha concluso- non sono sinonimi di paura e panico». Una guerra che tutti minacciano e nessuno vuole, consapevoli entrambi dei rischi che comporterebbe un allargamento del conflitto su base regionale. E però, ormai da quasi sei mesi, Israele e Repubblica islamica si stanno affrontando a distanza, attraverso le varie organizzazioni sciite filosciite presenti sul campo, Hezbollah, e Houthi che si richiamano alla casa madre di Teheran che non fa mancare il proprio sostegno militare e finanziario ovviamente neanche ai sunniti di Hamas.

APPARENTE NORMALITÀ

Al di là delle parole, nelle strade di Gerusalemme e di Tel Aviv si ostenta una apparente normalità scossa ieri dalle misure adottate per oscurare i sistemi di geolocalizzazione che hanno mandato in tilt per qualche ora praticamente tutti i Gps. Una sorta di prova generale nel caso di un attacco effettivo. E come sempre ci si affida alla tecnologia dei sistemi antimissile, quelli a corto raggio “Iron Dome” e quelli a lunga gittata “Arrows”, a cui ne sono stati affiancati altri due di recente costruzione che secondo gli esperti militari israeliani avrebbero un elevato tasso di affidabilità. In ogni caso dopo la clamorosa sottovalutazione dei pericoli che sono culminati con i massacri del 7 ottobre ora Shin Bet e Idf intendono mantenere alta l’allerta. Già nei giorni scorsi ai cittadini all’estero e era stato rivolto l’invito a non frequentare luoghi associati a Israele, mentre ai diplomatici di aumentare la vigilanza, cambiare la propria routine, di ridurre gli spostamenti. E uno di loro, intervistato in forma anonima dal più diffuso giornale del paese Yedioth Ahronot ha rivelato: «Ogni passo che facciamo richiede approvazioni preventive, in alcune zone ci è vietato di entrare in città».

LA POSIZIONE ONU

Dall’Onu intanto arriva l’ennesima condanna: il Consiglio per i diritti umani ha approvato una risoluzione che condanna tra gli altri abusi «la pratica di far patire la fame alla popolazione civile» e chiede ad Israele di rendere conto su possibili crimini di guerra e alla comunità internazionale di porre fine alla vendita di armi allo Stato ebraico. Accuse che Israele respinge. Non si fa alcuna menzione né ad Hamas né ai crimini commessi dai terroristi, e nemmeno alle forniture di armi da parte dell’Iran e dei suoi alleati.

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