Mar Rosso, la guerra agli Houthi e il rischio escalation. L'ammiraglio Caffio: «Usa, Israele ed Iran conoscono i rischi»

L’ammiraglio Fabio Caffio, esperto diritto internazionale, analizza la situazione attuale dal punto di vista giuridico e valuta le possibili conseguenze economiche per il nostro Paese

Mar Rosso, la guerra agli Houthi e il rischio escalation. L'ammiraglio Caffio: «Usa, Israele ed Iran conoscono i rischi»
Mar Rosso, la guerra agli Houthi e il rischio escalation. L'ammiraglio Caffio: «Usa, Israele ed Iran conoscono i rischi»
di Ebe Pierini
Domenica 14 Gennaio 2024, 17:57 - Ultimo agg. 19:58
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Sono proseguiti anche nella giornata di ieri i bombardamenti americani su siti riconducibili agli Houthi che minacciano con i loro attacchi il traffico navale nel Mar Rosso. Il rischio è quello di un’escalation. L’ammiraglio Fabio Caffio, esperto diritto internazionale, analizza la situazione attuale dal punto di vista giuridico e valuta le possibili conseguenze economiche per il nostro Paese ed i rischi di un allargamento a livello globale della crisi in corso.

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Usa e Gran Bretagna hanno bombardato postazioni Houthi per difendere la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso. Cosa dice il diritto internazionale in proposito? Cosa si può fare e non si può fare per proteggere la libera navigazione?

Punto imprescindibile di riferimento è la Risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 2722 dello scorso 10 gennaio. Con questo atto le Nazioni Unite condannano fermamente gli attacchi degli Houthi al naviglio mercantile affermando il diritto di ogni Stato a difendere le proprie navi da qualsiasi azione offensiva, comprese quelle che attentano al libero uso del mare. Il contesto giuridico è la Carta delle Nazioni Unite, relativamente al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale; alla Convenzione sul Diritto del mare il Consiglio di sicurezza si appella invece per la libertà e sicurezza della navigazione, senza tuttavia autorizzare il ricorso a “qualsiasi mezzo”. Questo è  avvenuto con le Risoluzioni di natura coercitiva emanate sulla base del Capo VII della Carta per il contrasto della pirateria del Corno d’Africa. Per conseguenza, al momento, gli Stati devono mantenersi nell’ambito della risposta immediata, necessaria e proporzionale a singoli atti ostili. In sostanza, pare di poter dire che, per evitare azioni escalatorie, siamo ad un livello ancora basso di uso della forza. Resta fermo tuttavia che la legittima difesa, secondo i principi vigenti anche nel nostro ordinamento, può  giustificare azioni letali se inevitabili e necessarie. Diverso appare invece il quadro in cui operano Stati Uniti e Gran Bretagna che, nel condurre la “guerra agli Houthi”, sembrano far ricorso al regime di uso della forza (ius ad bellum) in autotutela stabilito dall’art. 51 della Carta.

@ilmessaggero.it Gli Usa e la Gran Bretagna hanno lanciato attacchi contro postazioni Houthi in Yemen dopo che i miliziani hanno sfidato il monito a non proseguire i loro raid nel Mar Rosso. Diverse città dello Yemen sono state colpite, inclusa la capitale Sana'a. Il presidente americano Joe Biden ha dichiarato che l'attacco - condotto in collaborazione con le forze di Australia, Canada, Barhein, Paesi Bassi - è la risposta a "attacchi senza precedenti degli Houthi contro le navi marittime internazionali nel Mar Rosso, compreso l'uso di missili balistici antinave per la prima volta nella storia". "Più di 50 nazioni sono state colpite da 27 attacchi alla navigazione commerciale internazionale. Gli equipaggi di oltre 20 Paesi sono stati minacciati o presi in ostaggio in atti di pirateria. Più di 2.000 navi sono state costrette a deviare per migliaia di miglia per evitare il Mar Rosso". E ancora "Il 9 gennaio, inoltre, gli Houthi hanno lanciato il loro più grande attacco fino ad oggi, prendendo di mira direttamente le navi americane". . . . [#IlMessaggero] #navi #guerra #attacco #esteri #mondo #notizia #yemen #usa #uk ♬ Documentary music that raises tension - Ken Nakagawa

Qual è il vero intento degli Houthi e come sono armati?

Ribelli, insorti, fazione armata di una guerra civile o terroristi che siano, gli Houthi operano da tempo nell’area dello Stretto di Bab el Mandeb con mezzi insidiosi, droni aerei e navali cui si sono ora aggiunti missili a medio raggio di fabbricazione iraniana per rendere insicura la navigazione in quello che oltre ad essere uno stretto internazionale è anche un choke point del commercio mondiale. Il problema è antico.

Si pensi che 1972 un cacciatorpediniere francese fu bombardato dall’isola yemenita di Perim (posta al centro dello Stretto) e che nel 1971 la petroliera liberiana “Coral Sea”, noleggiata da Israele per trasportare petrolio a Eilat, fu colpita da due missili.  Anche ora gli Houthi affermano che i mercantili riconducibili ad interessi israeliani sono un loro obiettivo.

Sono sufficienti i bombardamenti delle postazioni ed il dispiegamento di navi per impedirne l’offensiva?

Tutto dipende dal livello dello scontro che si dovrà assumere. Stati Uniti e Gran Bretagna, come ho detto, sono già passati alla neutralizzazione, anche preventiva, delle postazioni. L’Unione europea pensa alla libertà di navigazione e quindi ipotizza il dislocamento di navi da guerra con funzioni di protezione del traffico. La missione europea dovrebbe comunque proporsi di contrastare il traffico di armi che alimenta la guerriglia degli Houthi, applicando le Risoluzioni delle Nazioni Unite già in vigore per il Corno d’Africa. In aggiunta, sarebbe necessario che a livello regionale, i Paesi costieri  del Mar Rosso, si impegnassero, come del resto auspica la Risoluzione 2722, nel garantire la sicurezza dei mari antistanti. Anche il Governo legittimo dello Yemen e le autorità di Gibuti andrebbero coinvolti.

Il 40% dell’import-export marittimo italiano passa dal  Mar Rosso così come il 12% del traffico mondiale. Quali saranno le ripercussioni di questa crisi per l’Italia? Aumenteranno costi ed inflazione?

L’economia italiana ha già iniziato a risentire della crisi in atto. Siamo al centro del Mediterraneo ed abbiamo strette relazioni commerciali con Medio ed Estremo Oriente tramite l’international waterway costituita dal Canale di Suez, dal Mar Rosso e da Bab el Mandeb. Credo che ora gli Italiani si siano finalmente resi contro dell’importanza della marittimità nella vita della Nazione.

 

Se le Nazioni opteranno per la circumnavigazione dell’Africa si rischia una decentralizzazione del Mediterraneo e dei porti italiani?

Questo è chiaro a tutti, essendo già avvenuto durante la crisi della pirateria somala iniziata nel 2008. A soffrire per gli extra costi della rotta del Capo di Buona Speranza (10 giorni in più di navigazione) furono allora gli armatori e quindi, di riflesso, i consumatori finali. Danni ebbe anche l’economia egiziana che dipende in gran parte dai diritti di transito nel Canale di Suez. L’impraticabilità del Mar Rosso è un problema ulteriore per Israele che per i suoi interessi vitali necessità dei porti del Mediterraneo e del Golfo di Aqaba.

Come valuta l’attuale posizione dell’Italia che schiera due Fremm nell’area? La strada da seguire è quella della partecipazione ad una missione navale europea?

L’Italia ha da sempre una grande capacità di condurre, sulla base dei principi costituzionali di ripudio della guerra,  operazioni di peace-keeping anche navale. Tale è infatti sarà senz’altro la configurazione della prossima missione Ue, in armonia con la Politica europea di difesa e sicurezza comune. D’altronde un modello esiste già ed  è la Missione EMASOH “Agenor” a guida francese dedicata alla sorveglianza dello Stretto di Hormuz cui noi partecipiamo.  In ogni caso, le Unità navali italiane, a prescindere dalla partecipazione a dispositivi  multinazionali,  opereranno sempre a protezione dei mercantili di bandiera o riconducibili ad interessi nazionali, secondo la missione istituzionale stabilita dall’art. 111 del Codice dell’Ordinamento Militare. Stretti e proficui sono, al riguardo, i rapporti tra la Marina, Confitarma ed Assarmatori. 

Il Ministro della Difesa Crosetto ha dichiarato che l’Italia non ha ricevuto richiesta di partecipare agli attacchi da parte degli Alleati perché abbiamo bisogno di un’autorizzazione parlamentare. Pensa che il nostro Paese in futuro potrebbe decidere di prendervi parte?

Naturale che il nostro Ministro della Difesa si sia espresso con toni prudenti. Siamo una democrazia parlamentare ed il Parlamento va coinvolto necessariamente secondo le procedure stabilite dalla legge 21 luglio 2016, n. 145. Sull’opportunità di alzare il livello militare della nostra partecipazione va considerato, come ho detto, la nostra consolidata tradizione di peace-keeping navale, anche se abbiamo partecipato ad  operazioni di peace-enforcing come “Enduring Freedom”. Deve comunque, nella crisi in atto,  far riflettere la posizione defilata della Spagna che tende a rimarcare un suo profilo filo-arabo non del tutto in linea con la Ue. Non è da escludere che Madrid abbia preso a modello il nostro approccio di apertura alle istanze di molti Paesi nord africani, OLP compresa, che decenni fa ci consentì di impostare una proficua politica mediterranea senza rinnegare i vincoli atlantici ed occidentali ed il sostegno ai diritti del nascente Stato di Israele. Non a caso, nel 1982 ci venne affidata la delicata missione di peace-keeping navale di interposizione tra Egitto ed Israele, per garantire la libertà di navigazione nello Stretto di Tiran e nel Golfo di Aqaba, attività che la Marina militare tuttora continua a svolgere. Significativo è anche il patrimonio di affidabilità guadagnato dalle nostre Forze armate nell’assicurare la stabilità del confine tra Israele ed il Libano.

C’è un rischio di escalation con un coinvolgimento dell’Iran e di un’estensione della crisi a livello globale?

Credo che tutti gli attori coinvolti, Stati Uniti, Israele ed Iran inclusi, abbiano ben chiari i rischi di un allargamento. Il pericolo di casus belli non previsti è sicuramente il più temibile. Mantenere sempre il dialogo multilaterale è quindi fondamentale anche con la Russia che, nel caso della citata Risoluzione 2722, si è astenuta a dimostrazione di un orientamento non del tutto sfavorevole alla stabilizzazione dell’area. Quanto alla Cina è difficile pensare che Pechino accetti restrizioni alla libertà di navigazione contrarie ai suoi interessi commerciali.

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