Usa, primarie al via in Iowa. Tutti a caccia di Trump, il tycoon è in vantaggio. Grana Austin per Biden

Il ministro della Difesa ha nascosto il ricovero in ospedale. «Deve dimettersi»

Usa, primarie al via in Iowa. Tutti a caccia di Trump, il tycoon è in vantaggio. Grana Austin per Biden
Usa, primarie al via in Iowa. Tutti a caccia di Trump, il tycoon è in vantaggio. Grana Austin per Biden
di Anna Guaita
Lunedì 8 Gennaio 2024, 00:11 - Ultimo agg. 9 Gennaio, 08:19
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Una media costante che varia fra il 60 e il 70% degli americani ripete da mesi che non vorrebbe che a sfidarsi per la presidenza a novembre siano di nuovo Donald Trump e Joe Biden, come nel 2020. Ma alla vigilia della prima consultazione delle primarie, con i caucus dell’Iowa fra una settimana, il copione che gli elettori si troveranno davanti sembra proprio quello. I due sono testa a testa quanto a impopolarità, con Biden al 53 per cento di disapprovazione e Trump al 52. Ma tutti e due contano sul compattamento delle rispettive basi al momento cruciale del voto finale. Le ampie fette di dissidenti che tutti e due i partiti hanno in seno sperano che succeda qualcosa che metta il loro portabandiera fuori combattimento. Ma i politologi ammoniscono di stare attenti a cosa si spera, perché, se domani dovesse ritirarsi Trump, in pista ci sono già pronti candidati che da tempo stanno facendo campagna e hanno racimolato soldi e sostegno, in particolare il governatore della Florida Ron DeSantis e l’ex governatrice della Carolina del sud Nikki Haley. Ma se domani dovesse essere Biden a ritirarsi, la sostituta per le elezioni sarebbe la sua vice, Kamala Harris, anche meno popolare di lui.

LA PRIMA TAPPA

L’appuntamento di martedì 15 nell’Iowa per di più ci darà indicazioni sul campo repubblicano ma non su quello democratico, perché i Dem hanno cambiato l’ordine delle primarie e gli elettori del grosso Stato agricolo e religioso del Midwest voteranno per corrispondenza entro il 5 marzo. Occhi su Trump, DeSantis e Haley dunque, con la consapevolezza che i sondaggi danno Trump in nettissimo vantaggio, e che la vera curiosità è di vedere chi si piazzerà secondo e potrebbe quindi aspirare a una ipotetica investitura nel caso l’ex presidente finisse in carcere nell’ambito dei processi di cui è oggetto o venisse depennato dalle schede elettorali sulla base della “clausola dell’insurrezione” per il sostegno dato alla rivolta del 6 gennaio 2021. 

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LA GIUSTIZIA

Su entrambe queste ipotesi dovrebbe giocare un ruolo decisivo la Corte Suprema, che ha accettato di valutare con procedura d’urgenza la decisione del Colorado di non includere Trump nelle schede delle primarie sulla base del terzo articolo del 14esimo Emendamento della Costituzione che vieta la possibilità di correre per una posizione federale a chi, che avendo giurato fedeltà al dettato costituzionale nell’ambito di un precedente impegno federale, abbia poi sostenuto un’insurrezione.

I nove giudici hanno invece rimandato a dopo la sentenza del Tribunale d’Appello la decisione sulla presunta “immunità totale” sul suo operato da presidente, a cui Trump si appella per scamparla nei vari processi. Il ricorso è fondamentale per l’ex presidente, perché se è vero che la base dei MAGA ripete che voterà comunque per lui, un 40% di repubblicani non lo voterebbe se venisse condannato nei processi. 

GLI SFIDANTI

Ed ecco dove si inseriscono DeSantis e Haley, quest’ultima con il vantaggio di aver conquistato posizioni nei sondaggi dopo i dibattiti e di essere a ridosso di Trump nel New Hampshire, uno Stato conservatore ma laico, dove la base MAGA è meno forte, e le primarie si terranno il 23 gennaio. Come si intuisce, c’è ancora incertezza, nonostante Trump sfoggi grande sicurezza di sé e faccia progetti per la sua rielezione, sciorinando promesse che fanno rizzare i capelli in testa a chi crede nella Costituzione e nelle istituzioni democratiche. Promette di fare il dittatore, anche se «solo per un giorno», di assumere fidatissimi e vendicarsi di chi – a suo dire – lo ha perseguitato, bloccare i confini agli «immigrati che inquinano il nostro sangue», cancellare vari accordi internazionali, perdonare gli insurrezionisti del 6 gennaio, ecc. 

Ma se nel campo di Trump tanti elementi rimangono ancora indecisi, anche nel campo di Biden la situazione non è cristallina. A parte la preoccupazione dello stesso partito, che Barack Obama si è incaricato di esprimergli durante un appuntamento nel quale gli ha praticamente detto di darsi una smossa, Biden si è scoperto tradito da un fedelissimo, il ministro della Difesa Lloyd Austin, che ha pensato bene di nascondergli che stava tanto male da dover essere ricoverato d’urgenza in ospedale per tre giorni.

I PERICOLI

La mancanza di trasparenza sulla gravità della situazione mentre c’erano seri problemi di sicurezza in corso, come gli attacchi lanciati dagli Stati Uniti contro le milizie sostenute dall’Iran in Iraq e Siria, oltre ai conflitti a Gaza e in Ucraina, ha dato subito al partito avversario la leva per chiedere le dimissioni di Austin

Quest’ultima crisi si aggiunge a vari altri carichi pesanti sulla campagna di Biden, come la procedura di indagine su un possibile impeachment lanciato dai repubblicani, e la loro totale mancanza di volontà di negoziare una soluzione bipartisan per la crisi della valanga di migranti in cerca di asilo al confine. Biden non ha sfidanti per le primarie, se non un semisconosciuto deputato del Minnesota, Dean Phillips, che contesta l’età avanzata del presidente. Un problema, questo dell’età, che i repubblicani sono riusciti a trasformare in un tema nazionale, attaccando ogni impappinamento di Biden o ogni suo inciampo (il presidente soffre di balbuzie e non si è mai rimesso dopo essersi rotto una caviglia giocando con il suo cane), ma preferendo ignorare i continui errori di inglese, le affermazioni platealmente false e gli errori storici quasi comici che Trump fa a ogni discorso. 

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