Autonomia, la commissione “congela” i Lep. Così i servizi essenziali vengono depotenziati

Il documento sul tavolo del Comitato di Cassese che rinvia la palla al governo. La riduzione dei divari territoriali soltanto quando ci saranno le risorse

Autonomia, la commissione “congela” i Lep. Così i servizi essenziali vengono depotenziati
di Andrea Bassi
Domenica 16 Luglio 2023, 23:50 - Ultimo agg. 18 Luglio, 11:30
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L’acronimo Lep è diventato ormai noto ai più. Sta per «livelli essenziali delle prestazioni». Sono i diritti minimi che devono essere assicurati ad ogni cittadino italiano a prescindere dalla Regione in cui risiede. E adesso rischiano di diventare la foglia di fico per giustificare l’autonomia differenziata, la devoluzione a Veneto e Lombardia di 23 materie oggi in capo allo Stato. Con il rischio, come paventato da moltissimi esperti ascoltati in Senato dove è in discussione il disegno di legge Calderoli, che i divari tra il Nord e il Sud del Paese si allarghino.

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Autonomia senza Lep

Senza la definizione dei Lep, l’autonomia, o almeno un pezzo importante di questa, non può partire. E per questo sembra esserci una gran fretta di “produrre” qualche risposta sui livelli essenziali delle prestazioni. Se ne sta occupando il Comitato Clep, guidato dall’ex ministro e giudice costituzionale Sabino Cassese. Qualche giorno fa, quattro autorevoli componenti del Comitato, l’ex ministro Franco Bassanini, l’ex premier Giuliano Amato, il presidente emerito del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e il costituzionalista Franco Gallo, si sono dimessi. Lo hanno fatto contestando il metodo di lavoro per la definizione dei Lep.

La loro posizione, semplificando molto, è questa: non si può decidere, per fare un esempio, che tutte le classi scolastiche italiane devono avere 20 alunni, se non si decide anche (sempre per fare un esempio) che i pensionati al minimo hanno diritto a 600 euro al mese.

Sono due possibili casi di Lep. Il primo serve alle Regioni del Nord per avere l’autonomia. Il secondo è un Lep “statale”. Perché è importante decidere tutti i Lep insieme e non solo quelli necessari per far partire l’autonomia? Perché per finanziare i Lep servono soldi. E se non si dice che le pensioni sono un Lep (e dunque un diritto), c’è il rischio che prima o poi possano essere tagliate per consentire la devoluzione del Nord. 


IL PASSAGGIO
Tesi peregrina? Non sembrerebbe, a leggere un documento finito sul tavolo del Comitato sui Lep e intitolato «Criteri di definizione dei Lep e loro collegamento con i fabbisogni standard e i vincoli di bilancio». La firma in calce è di quattro tecnici accreditati, tutti componenti del Comitato sui Lep: Gianfranco Cerea, Francesco Porcelli, Marco Stradiotto e Elena D’Orlando. Quest’ultima fa parte della delegazione trattante del Veneto, quella che negozia con lo Stato il trasferimento delle materie, ed è stata nominata dal governo alla presidenza della strategica Commissione tecnica sui fabbisogni standard, quella chiamata ad occuparsi delle risorse per garantire che i livelli essenziali delle prestazioni siano attuati. Ma cosa dice esattamente il documento? La prima cosa è che i Lep non dovrebbero andare troppo nel dettaglio. Nei suoi Dpcm, il governo dovrebbe limitarsi a indicare «un criterio generale di misurazione». Poi dovrebbero essere degli «atti gerarchicamente inferiori», come dei semplici decreti ministeriali, a definire in modo dettagliato gli standard per tenere conto delle «priorità politiche» e dei «vincoli di bilancio». 


GLI ESEMPI
Il documento fa degli esempi che aiutano a capire. Prendiamo il Lep per l’infanzia. Il Dpcm dovrebbe definire criteri come la percentuale di popolazione tra i 3 e 5 anni deve avere accesso al servizio, quante ore vanno garantite per alunno, quanti docenti, quanti metri quadri e se il tempo pieno va potenziato oppure no. Poi toccherebbe ai ministeri, in base alle disponibilità economiche, decidere dove mettere l’asticella. È evidente che in questo modo la spinta è a “fotografare” l’esistente, a non mettere asticelle troppo alte per non spendere soldi che nel bilancio dello Stato non ci sono. Lo riconosce lo stesso documento. «Se si esula dall’eventualità di innovazioni legislative che amplino l’attuale ventaglio dei diritti e delle prestazioni, il percorso logico sin qui sviluppato mostra come il tema del rispetto dei vincoli di bilancio risulti, in via generale, disgiunto dalla mera definizione dei Lep».

Insomma, se non si vogliono aumentare i servizi o le prestazioni, ma ci si limita a usare come “standard” quello che già lo Stato fa, problemi sui Lep e sul loro finanziamento ce ne sono pochi. Se si stabilisce, per esempio, che il limite di 26 alunni per classe, che già esiste oggi, è un Lep, si fotografa l’esistente. Le Regioni che dovessero poi ottenere l’autonomia potrebbero garantire con le loro risorse magari anche uno standard migliore, per esempio 20 alunni. Ma questo finirebbe per allargare i divari, non ridurli. Se invece si volesse fissare come Lep per tutti 20 alunni, allora lo Stato dovrebbe trovare i soldi per assumere più insegnanti. Pare però di capire che la strada indicata sia più la prima piuttosto che la seconda. L’altro elemento che emerge dal documento, è l’indicazione di una determinazione dei Lep che «rifugga da un eccessivo dato di dettaglio». Questo per non irrigidire troppo, è spiegato, il bilancio dello Stato. Anche qui l’obiezione può essere che Lep poco dettagliati potrebbero lasciare più margini di manovra a chi ha maggiori disponibilità di Bilancio. E non si tratta certo delle Regioni meridionali. 
 

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