Pnrr, braccio di ferro tra governo e Regioni

Domani il ministro Fitto relazionerà alla Camera sullo stato di attuazione del Pnrr

Il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e il Sud, Raffaele Fitto
Il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e il Sud, Raffaele Fitto
di Nando Santonastaso
Martedì 25 Aprile 2023, 08:00 - Ultimo agg. 26 Aprile, 08:30
4 Minuti di Lettura

Una schiarita, forse, potrebbe arrivare domani pomeriggio quando il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e il Sud, Raffaele Fitto, relazionerà in Aula alla Camera sullo stato di attuazione del Pnrr. Potrebbe essere l'occasione anche per fare il punto sulla ripartizione alle Regioni delle risorse del Fondo sviluppo e Coesione, uno dei capisaldi della politica nazionale di coesione, la cui destinazione spetta per l'80% alle regioni meridionali. Si tratta di circa 22,5 miliardi del ciclo di programmazione 2021-27 che le Regioni del Sud sollecitano, ma sulla cui assegnazione il ministro frena: prima, dice Fitto, bisognerà capire perché la spesa del ciclo precedente 2014-20 è ancora in forte ritardo e quali progetti sono effettivamente cantierabili o rispondono dopo anni agli obiettivi per i quali erano stati approvati.

Per rispondere al doppio interrogativo, il ministro ha avviato da tempo una minuziosa ricognizione della materia dalla quale, peraltro, deriveranno indicazioni importanti anche ai fini della rimodulazione del Pnrr, il punto centrale (e attesissimo) della sua relazione alla Camera. È noto infatti che il governo cercherà di dirottare sulle risorse nazionali della Politica di Coesione, e dunque in primis sull'Fsc, i progetti che non potrebbero mai essere completati entro il 2026, scadenza senza appelli del Piano di ripresa e resilienza.

Le Regioni però non ci stanno e il braccio di ferro con Fitto, in atto ormai da mesi, lo conferma. Al punto che il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, ha scritto al ministro di fissare un tavolo di confronto al più presto per venire a capo della questione.

La ripartizione tra le Regioni era stata messa nero su bianco dal governo Draghi poche settimane prima che gli venisse meno la fiducia di alcune forze della maggioranza. L'iter si è di fatto arenato davanti alle porte del Cipess, il Dipartimento per la programmazione della politica economica, cui spetta per legge la materiale erogazione dei fondi. Di quella delibera, che fino ad agosto scorso sembrava quasi un atto formale, continua da allora a non esserci traccia, provocando il malumore dei governatori (il campano De Luca e il pugliese Emiliano, in testa), preoccupati di non poter dare certezze alle aziende interessate a investire sui loro territori. La polemica politica è andata anche oltre, con il Pd che ha più volte annunciato le barricate qualora la destinazione di quei fondi prendesse strade diverse rispetto alle percentuali previste dall'Europa. Si teme, in sostanza, una riedizione dei tempi del Fas (come prima era chiamato il Fondo sviluppo e coesione), quando questo strumento veniva usato come una sorta di bancomat per emergenze di ogni tipo, dai terremoti alle alluvioni.

Per la verità i governi che hanno preceduto quello attuale non si sono discostati troppo da questa linea: parte delle risorse nazionali della Coesione sono state spese, ad esempio, per l'emergenza Covid 19, per sostenere le famiglie e le imprese sul caro-bollette, per attutire le conseguenze della guerra in Ucraina. La possibilità che ciò accada anche adesso non è da escludere anche perché l'Ue stessa ha di fatto favorito una certa flessibilità per indirizzare le risorse sulle emergenze. Ma nella relazione curata dal ministro Fitto e allegata all'ultimo Def, a proposito delle risorse dell'Fsc si spiega che «le assegnazioni a titolo emergenziale (pari a circa 20 dei 68 miliardi disponibili, ndr) hanno inciso negativamente anche sul rispetto del vincolo di destinazione territoriale». 

Video

Di qui lo stop ad ogni ragionamento sull'impiego dei nuovi fondi, quelli della programmazione 2021-27 che sono stati incrementati fino a 75,8 miliardi ma che, anche loro, risultano in parte già intaccati per destinazioni diverse rispetto all'obiettivo di ridurre i divari territoriali per i quali l'Fsc è stato istituito. Una quota di 6 miliardi è servita ad esempio per sostenere le imprese di fronte all'aumento del costo delle materie prime. Insomma, un chiarimento sembra necessario: «Il rischio - dice Michele Emiliano, presidente della Puglia - che di quei 22,5 miliardi è destinataria di 4 miliardi è che ci faranno andare in ritardo anche sulla spesa dei fondi europei, perché noi non abbiamo l'Irpef di altre Regioni, e non abbiamo il bilancio ordinario libero, ma lo dobbiamo impegnare soprattutto sulla questione sanità. Ecco perché i ritardi stanno diventando drammatici». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA