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GIORGIA MELONI

Meloni: «Il mio piano per l'Italia». Fiducia con 235 sì (154 i no). Telefonata con Biden: «Forte amicizia Italia-Usa»

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni
di Mario Ajello
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 26 Ottobre 2022, 07:00 - Ultimo agg. : 10:59
8 Minuti di Lettura

Il coraggio della libertà. Chi può averlo più di una giovane donna che viene da una lunga militanza e che non deve niente a nessuno, è arrivata sulla cima delle istituzioni con le proprie forze e con i propri mezzi, proviene dalla tradizione di destra che è sempre stata considerata figlia di un Dio minore e rappresenta «ciò che gli inglesi chiamano underdog», ossia la persona sfavorita? Il personale è politico nel discorso sui doveri e sulle responsabilità di un governo, il suo governo, che Giorgia Meloni ha descritto con autorevolezza e con argomenti pragmatici e insieme ideali. Ma soprattutto con un senso del presente e del futuro non staccato da quella che è stata la sua storia personale. 

APPROFONDIMENTI

«Colmare il divario sulle infrastrutture»
Governo Meloni, la diretta. Oggi la fiducia al Senato dopo quella della Camera
Pronta la prima manovra finanziaria: meno tasse a chi ha figli, flat tax a 100mila euro e tregua fiscale
Pensioni, per Quota 102 e Ape ci sarà una proroga
E il reddito di cittadinanza cambia: fuori chi rifiuta il lavoro

In serata il colloquio telefonico con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden: «Il presidente Meloni – spiega una nota di Palazzo Chigi – ha ringraziato il presidente Biden per le congratulazioni e ha ribadito la profonda amicizia che lega Italia e Usa. Meloni ha sottolineato l’importanza della partnership transatlantica, soprattutto alla luce delle storiche sfide che le democrazie occidentali stanno affrontando, come la guerra in Ucraina e la crisi energetica e alimentare».

Ma è la narrazione di sé che dà forza al progetto che lei illustra, al destino collettivo della «nave Italia» - «La più bella del mondo, per riprendere la celebre espressione usata dalla portaerei americana Independence quando incrociò la nave scuola Amerigo Vespucci» - che sia pure momentaneamente «ammaccata» e da riparare in fretta, il presidente del consiglio vuole condurre dove si merita di andare.

Sì, al timone di questa grande imbarcazione c’è una «underdog», un’italiana che nasceva con poche chance perché «io provengo da un’area culturale che è stata spesso confinata ai margini della Repubblica e non sono arrivata fin qui per contesto familiare o amicizie influenti». 

Giorgia Underdog Meloni - che ha ottenuto la fiducia alla Camera (235 i sì, 154 i no, 5 gli astenuti) in attesa di quella di oggi al Senato - è dunque l’incarnazione del potere nel senso del poter fare, del poter diventare e del dover essere. Dev’essere fedele alla sua storia, e assicura che lo sarà, che è quella della libertà delle scelte, dell’autonomia e dell’indipendenza, del rischiare come scommessa di chi si sente in condizione di poter vincere. E l’Italia ha tutte le capacità di non avere subalternità verso niente e nessuno (mentre «i governi di sinistra hanno troppo spesso avuto il complesso d’inferiorità verso l’Europa sacrificando il nostro interesse nazionale») e di capovolgere le sorti di chi l’ha sempre voluta descrivere come sfavorita per rivelarsi viceversa «una imbarcazione solida alla quale nessuna meta è preclusa, se solo decide di riprendere il viaggio. Allora, noi siamo qui per ricucire le vele strappate, fissare le assi dello scafo e superare le onde che s’infrangono su di noi. Con la bussola delle nostre convinzioni a indicarci la rotta verso la meta prescelta e con un equipaggio capace di svolgere al meglio i propri compiti». 

E mentre dice le ultime parole, per un attimo guarda a destra e a sinistra i suoi ministri, l’ammiraglio Giorgia, e sembra di vederla in uno di quei dipinti marini di grande battaglie navali in mezzo alla tempesta dove non è contemplato però un esito da Zattera della Medusa. 

La combattività della «sfavorita» è quella che più volte, oltre a venire applaudita dalla sua squadra e della sua coalizione (quando dai banchi di Fdi si leva il grido «Giorgia, Giorgia», lei manda un bacio e insieme con le mani fa il segno del placatevi per favore) sembra quasi suscitare il battimani, subito frenato, dell’altra parte dell’emiciclo. E qui, ma anche prima e anche dopo, s’innesta l’idea cardine di tutto il discorso: la libertà.

In un passaggio, Meloni ripete due volte, con un sospiro di adesione anche sentimentale oltre che politica a ciò che sta dicendo: «La libertà, la libertà...». La piena libertà delle opposizioni a fare opposizione, e infatti in aula e fuori è una raffica di attacchi: «Discorso di estrema destra!».

E Conte: «Solo vuota retorica». E Letta: «Pieno di brutti passaggi da brividi per esempio sul Covid, ma collaboreremo sul tema Ucraina». E Calenda, aperturista: «Bene nel capitolo donne, sulla posizione internazionale dell’Italia e contro il reddito di cittadinanza». 

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Eppure un elogio della libertà così intimamente e politicamente sentito (avrebbero potuto consigliarle di citare una delle poesie più belle del mondo, quella di Paul Eluard: «Su la schiuma delle nuvole / Su i sudori d’uragano / Su la pioggia spessa e smorta / Scrivo il tuo nome, libertà...») fa impressione. La libertà delle proteste parla di Giorgia e parla di tanti ragazzi come è stata lei. «Confesso - e qui il personale è politico al massimo grado - che difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza contro le politiche del nostro governo. Mi torneranno inevitabilmente alla memoria le mille manifestazioni a cui ho partecipato con tanta passione. Senza mai prendere ordini da alcuno. Al famoso “Siate folli, siate affamati” di Steve Jobs, io vorrei aggiungere: “Siate liberi”. Perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano». 

Giorgia capovolge la caricatura che le viene inflitta. E parla così, senza ambiguità: «Libertà e democrazia sono gli elementi distintivi della civiltà europea contemporanea nei quali da sempre mi riconosco. E dunque, a dispetto di ciò che strumentalmente si è sostenuto, non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi anti-democratici. Per nessun regime, fascismo compreso. Esattamente come ho sempre ritenuto le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre». La destra applaude, la sinistra avrebbe potuto farlo. 

«Ho conosciuto giovanissima - incalza Meloni - il profumo della libertà, l’ansia per la verità storica e il rigetto per qualsiasi forma di sopruso o discriminazione proprio militando nella destra democratica italiana. Una comunità di uomini e donne che ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle nostre istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica. Quando, nel nome dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese». I lutti del passato, la difficoltà del superamento delle ideologie violente, una sorta di guerra civile italiana da cui si è faticato ad uscire e nelle «vele rotte» della Nave Italia si sente ancora da lontano ma non deve sentirsi più l’eco di quelle urla e di quegli spari che hanno allontanato «una pacificazione nazionale che proprio la destra democratica italiana, più di ogni altro da sempre auspica». La stessa destra che «incarna i valori della democrazia liberale da cui non defletteremo di un solo centimetro: combatteremo qualsiasi forma di razzismo, antisemitismo, violenza politica, discriminazione». 

La libertà secondo Giorgia è impastata di tutto questo. Ma la libertà ha in Montesquieu il suo grande teorico che non poteva non essere citato: «La libertà è quel bene che fa godere di ogni altro bene». E dunque, la libertà delle donne di poter avere una vita più semplice; la libertà di movimento grazie a nuove infrastrutture (Meloni insiste anche sulle reti ferroviarie e autostradali); la libertà dei meridionali di non essere costretti all’emigrazione di cervelli e di energie; la libertà dalle mafie (e qui il ricordo di Falcone, Borsellino, Piersanti Mattarella e delle altre vittime); la libertà anche di tipo sanitario (stoccata al governo Draghi sull’emergenza Covid: «La prevenzione e la responsabilizzazione sono più efficaci della coercizione»); la libertà nel campo dell’energia (senza dover dipendere solo dall’estero); la libertà di dire la nostra sul palcoscenico internazionale (bella la citazione di Enrico Mattei a 60 anni dalla morte: «Un grande italiano che fu capace di stringere accordi di reciproca convenienza con nazioni di tutto il mondo. L’Italia deve farsi promotrice di un Piano Mattei per l’Africa»); libertà di impresa («Il nostro motto sarà: lo Stato non deve disturbare chi vuole fare); la libertà di non avere un fisco oppressivo; la libertà di avere una burocrazia che aiuta e non blocca («Abbiamo bisogno di meno regole ma chiare per tutti»). E mentre diceva tutto questo, i berlusconani in aula impazzivano di gioia: «Giorgia ha imparato la lezione di Silvio!». Se non fosse, però, che parlare di libertà senza avere conflitti d’interesse e altri pesi sulle spalle, rende Meloni più libera di farlo rispetto ad altri. 

C’è fa chiedersi, però, e Meloni è la prima a farlo, perché lei si è caricata sulle spalle il macigno Italia, la nave ammaccata e una situazione a dir poco preoccupante? Lo fa perché l’underdog è colui o colei che stravolge le previsioni negative («Stravolgerò i pronostici») e che ha una spinta e un coraggio che altri non hanno. «Giovanni Paolo II, che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente, mi ha insegnato una cosa fondamentale: la libertà, diceva, non consiste nel fare ciò che ci piace ma nell’avere il diritto di fare ciò che si deve». Il presidente Giorgia si sente una persona libera di provarci, e insieme a lei vorrebbe tutti quelli che, per troppa indifferenza, per pavidità, per un senso di ineluttabilità da Italia irrimediabile, sotto l’effetto di ideologie paralizzanti o di cura esclusiva del proprio “particulare”, non si sono sentiti liberi di cambiare radicalmente se stessi e il proprio Paese.

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