Lollobrigida: «I dossier? Problema per la democrazia. Più forti di due anni fa, la scossa dalla Sardegna»

Il ministro dell’Agricoltura: «Per le Europee l’obiettivo è prendere un voto in più delle Politiche del 2022. L’elmetto? Come protezione lo metto da quando ero un ragazzo»

Lollobrigida: «I dossier? Problema per la democrazia. Più forti di due anni fa, la scossa dalla Sardegna»
Lollobrigida: «I dossier? Problema per la democrazia. Più forti di due anni fa, la scossa dalla Sardegna»​
di Ernesto Menicucci
Mercoledì 13 Marzo 2024, 00:14 - Ultimo agg. 14 Marzo, 09:52
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Ministro Lollobrigida, che cosa ha detto il voto in Abruzzo?
«Che il governatore Marsilio ha governato bene e che sul voto della Sardegna erano state fatte delle analisi un po’ “drogate”».
In che senso?
«Che si trattava di elezioni regionali, su cui incide il giudizio sul governo regionale che in quel caso magari non è stato così positivo, come non lo è stato dell’amministrazione a Cagliari, dove era sindaco Truzzu. E che, in quel caso, è stato dato anche un voto molto positivo su Alessandra Todde e sul suo modo di condurre la campagna elettorale, tenendo ben distanti Conte e Schlein e scegliendo di non politicizzare troppo il voto, scelta arguta. Il centrodestra, rispetto alle politiche di 18 mesi fa, in Sardegna ha preso più voti, il 48% rispetto al 40%, ma il valore aggiunto di Todde ha fatto la differenza. Perché, in generale, quando qualcuno vince non si deve dire che ha lui o lei, anziché dire sempre che hanno perso gli altri?».
La sua lettura del dato abruzzese, invece?
«Un dato politico positivo per il centrodestra, in una regione forse più facile per noi, ma su cui c’è stato il valore aggiunto del buon governo: non era mai successo che un presidente uscente venisse riconfermato. Si conferma anche il centrodestra a trazione FdI, visto che tra noi e lista Marsilio prendiamo il 29,5%, poi c’è un buon dato del centro che tra Forza Italia, Lupi e Cesa fa il 16% e la Lega tiene rispetto alle politiche».
Secondo lei, oggi, il centrodestra è più forte rispetto alle Politiche di settembre 2022?
«Sì, sicuramente è più stabile e più solido perché la sconfitta in Sardegna è stato un inciampo, che però ci ha indotto a fare delle riflessioni e magari a risvegliarci un po’ dal torpore che puoi avere quando le vinci tutte, come una sorta di pizzicotto sulla guancia. Abbiamo dato un segnale di ripresa, ci siamo mobilitati di più, abbiamo serrato i ranghi e questo lavoro è stato apprezzato dai cittadini».
La soglia per le Europee qual è? Il 30 per cento dei voti?
«Puntiamo a prendere un voto in più delle Politiche ‘22. Questo sarebbe già di per sé un dato positivo, perché tutti i governi possono avere effetti collaterali da scelte che magari impattano, sul breve periodo, non sempre in maniera corretta sull’opinione pubblica».
Farà il commissario europeo?
«No, questo lo posso escludere. Resto a fare quello che, pro tempore, mi è stato dato la possibilità di fare, cioè il ministro dell’Agricoltura, un mondo al quale mi sono affezionato. In Europa c’è un altro problema».
Sarebbe?
«Una scarsa presenza dell’Italia nei luoghi decisionali delle commissioni dal punto di vista burocratico: parlo di quelli che poi, formalmente, scrivono le leggi, i provvedimenti. Nell’Agricoltura, ad esempio, su 50 dirigenti, solo 4 sono italiani e non in posizioni di primo piano. Abbiamo già formalizzato alla Commissione la richiesta di predisporre almeno degli interpelli per quelle posizioni libere». 
Quelle di giugno saranno delle vere elezioni di midterm come si dice in America?
«Questo è oggettivo. Ogni elezione fa storia a sé, ma misurare l’affezione degli elettori sarà comunque un segnale».
Il dato dell’Abruzzo induce a dire che c’è voglia di toni moderati e non urlati?
«Sì, ma non significa che quella moderazione si ritrovi più in alcune forze che in altre. La moderazione e l’equilibrio si ritrova anche in Fratelli d’Italia che nasce certamente a destra ma che ha assorbito anche realtà più centriste. E si ritrova nell’atteggiamento di Giorgia Meloni che dialoga con un presidente democratico degli Usa come Biden meglio anche di altri predecessori, che ottiene dal cancelliere socialista Scholz un riconoscimento sulla via albanese al tema dell’immigrazione e poi trova l’appoggio di von der Leyen e Metsola sui dossier Tunisia ed Egitto».
Allora mettiamola così: il voto moderato può servire al centrodestra per attrarre consensi fuori dal proprio perimetro naturale?
«È chiaro che oltre destra e sinistra non c’è niente, quindi al centro si contende il consenso. È una partita rilevantissima e noi di FdI abbiamo già dato segnali in questa direzione, rinunciano a 16 collegi uninominali alle Politiche per dare almeno il diritto di tribuna alla cultura di centro e stando vicini a Forza Italia e a chi la guida dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, in una transizione anche emotiva difficile da sostenere».
Vi preoccupa il fatto che la Lega, il partito che oggettivamente ha raccolto il risultato meno soddisfacente in queste ultime tornate elettorali, da qui alle Europee possa puntare sui temi più identitari, e più divisivi, per recuperare terreno?
«Guardi, il centrodestra sta insieme da 30 anni, questa è una presa di coscienza naturale. Inoltre più ci mostriamo uniti e più siamo apprezzati dagli elettori. Poi un conto è diversificarsi, come è normale che sia in una competizione proporzionale, altro è divaricare. Ogni partito porterà il suo consenso, non a danno degli alleati. E, da parte nostra, non vogliamo cannibalizzare nessuno».
Ha messo anche lei l’elmetto, come ha detto Meloni a Pescara?
«Io, in senso protettivo, non l’ho mai tolto... Da quando siamo ragazzini abbiamo subito attacchi di ogni natura, non ci siamo mai troppo preoccupati».
Fermo restando che ci sono le indagini della magistratura in corso, che idea, politica, si è fatto della vicenda dossieraggi?
«Che la criticità del sistema Italia non è un problema per la destra, ma per la democrazia. Queste voci ciclicamente girano, a volte affiorano come nei casi della P2 o della P4. La trasparenza per un politico è d’obbligo ma qui parliamo di interrogazioni irregolari alle banche dati per poi passare le informazioni a qualche organo di stampa... La commissione Antimafia sta facendo un ottimo lavoro, è giusto che non si tralasci niente. Le racconto un episodio».
Prego.
«Qualche giorno fa ero in Vietnam e con il nostro ambasciatore parlavamo dei sistemi di controllo che adotta lì il regime e come battuta gli ho detto che anche qua ci sono forme di quella natura, a volte anche meno eleganti...».
Quindi secondo lei non serve una commissione ad hoc?
«Da ministro, non posso e non voglio dare una valutazione. C’è il Parlamento che lo deciderà, tutto può servire, se serve».
Venendo all’Agricoltura, ieri il Parlamento europeo ha votato (con il no di FdI e Lega) la stretta sulle emissioni anche per gli allevamenti di suini e pollame
«Il problema è che se si mettono regole draconiane che costringono i nostri agricoltori o allevatori a ridurre la produzione, a fronte di un consumo che rimane invariato, inevitabilmente si finisce per importare da Paesi che usano sistemi produttivi ancora più impattanti per l’ambiente».
Servono regole mondiali uniformi?
«Con il WTO era così. Poi con Usa, Cina, India il mercato mondiale è stato sempre meno regolamentato».
Ora qual è il rischio?
«Che il cibo venga usato come arma di guerra, basta vedere quello che sta accadendo a causa della Russia o nel Mar Rosso con gli Houti».
L’Italia cosa può fare?
«Intanto abbiamo raggiunto due obiettivi: il 100% di presenze all’Agrifish, nelle riunioni tra ministri.

E il fatto che nel Consiglio Ue del 21 e 22 marzo l’Agricoltura è tra i quattro punti all’ordine del giorno. Terzo, nel piano Mattei c’è un capitolo dedicato proprio alle produzioni sostenibili, senza rinunciare alla qualità. Bisogna tornare all’idea dei padri fondatori dell’Europa: sostenibilità di cui l’agricoltore si fa garante e difesa delle attività agricole».

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