Stipendi, Irpef, mini-bonus: ecco come sarà la Manovra. Fondi ai redditi bassi, 10 miliardi di sgravi per le buste paga

I conti pubblici saranno tenuti in ordine per evitare di spaventare gli investitori e non avere ripercussioni sullo spread

Stipendi, Irpef, mini-bonus: così sarà la Manovra. Fondi ai redditi bassi, 10 miliardi di sgravi per le buste paga
Stipendi, Irpef, mini-bonus: così sarà la Manovra. Fondi ai redditi bassi, 10 miliardi di sgravi per le buste paga
di Andrea Bassi
Mercoledì 6 Settembre 2023, 00:02 - Ultimo agg. 14:13
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Ci sono alcuni postulati attorno ai quali il governo Meloni sta costruendo la sua prima vera manovra finanziaria. Il primo è la «prudenza». I conti pubblici saranno tenuti in ordine per evitare di spaventare gli investitori e non avere ripercussioni sullo spread. Il secondo è che le risorse a disposizione andranno concentrate su «chi ha sofferto di più la crisi». Vale a dire i redditi bassi erosi dall’inflazione. Ma ogni ministero porta avanti le sue richieste. Ne sono arrivate per 40 miliardi. La Pa chiede 6 miliardi per gli statali, la Sanità quattro per i medici. E ne servirebbero altrettanti per la riforma fiscale. Risorse difficili da trovare.

La manovra, dunque, sarà costruita attorno alla conferma del taglio del cuneo contributivo. Si tratta di una misura di cui già oggi beneficiano 14 milioni di lavoratori con redditi fino a 35 mila euro. Mantenere lo schema che prevede una decontribuzione del 7 per cento per i redditi fino a 25 mila euro e del 6 per cento per quelli tra 25 e 35 mila euro, ha un costo attorno ai 10 miliardi. Ma lasciar scadere a fine anno la misura comporterebbe una perdita secca nelle buste paga di questi lavoratori compresa fra 70 e 100 euro.
L’altro postulato attorno al quale si muove il governo è appunto questo: «confermare le misure in essere» per evitare che i lavoratori possano avere condizioni peggiori rispetto a quest’anno. Vale, per esempio, anche per i dipendenti pubblici, che potrebbero vedersi rinnovato il bonus una tantum dell’1,5 per cento dello stipendio. Ma vale anche per tutti gli incentivi alle assunzioni: da quelle per chi assume gli under 36 fino ai Neet. 
Stesso discorso per le pensioni. Non si andrà molto oltre la conferma di Quota 103, il pensionamento con 41 anni di contributi e 62 di età anche per il 2024.

Anzi, sempre nell’ottica di concentrarsi sui redditi bassi, gli assegni previdenziali oltre una certa soglia potrebbero subire un nuovo taglio alle rivalutazioni i cui risparmi, almeno in parte, sarebbero dirottati sugli assegni più bassi. Non va dimenticato che pensioni, sanità e stipendi dei dipendenti pubblici, sono i tre più grandi capitoli di spesa del Bilancio pubblico. E l’Europa ha chiesto all’Italia di contenere la spesa corrente, limitando l’aumento il prossimo anno delle uscite a solo l’1,3 per cento del totale. Un margine strettissimo e su cui pesa come un macigno la falla che si è aperta con il Superbonus.  

Statali. Per i contratti 6 miliardi ma l’Economia frena. Ipotesi mini-bonus nel 2024

I contratti dei dipendenti pubblici sono scaduti da 20 mesi. Quelli rinnovati nell’ultimo anno e mezzo riguardano il periodo precedente che va dal 2019 al 2021, periodo in cui l’inflazione era allo zero virgola. Ieri il segretario generale del sindacato Unsa, Massimo Battaglia, e quello di Fials, Giuseppe Carbone, hanno ricordato come in due anni lo stipendio medio di un dipendente pubblico abbia subito un’erosione a causa dell’inflazione di ben 342 euro al mese. I sindacati, insomma, chiedono che il governo stanzi immediatamente i soldi per il nuovo contratto. Per permettere agli statali di recuperare tutta l’inflazione servirebbero 32 miliardi di euro.

Il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha chiesto al collega dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di stanziare quest’anno almeno 6 miliardi per poter avviare il tavolo. Ma al Tesoro la reazione sarebbe stata fredda. Qualche concessione ci sarà, ma probabilmente ci si limiterà a confermare (e semmai a potenziare leggermente) l’emolumento «una tantum» dell’1,5% della retribuzione introdotto per un anno con l’ultima manovra. Un mini-bonus da 20 a 60 euro al mese a seconda delle mansioni. Anche perché qualche fondo dovrà essere dirottato anche sull’annosa questione dei tempi di pagamento del Tfs dopo il monito della Corte Costituzionale. 

Sanità. Pacchetto da 4 miliardi per aumenti ai medici e tagli alle liste d’attesa

L’ultimo rapporto del Gimbe sulla spesa sanitaria è più che allarmante. L’Italia è soltanto sedicesima tra i Paesi europei dell’Ocse per la spesa pro-capite e fanalino di coda nel G7. Spendiamo per curarci il 6,8 per cento del Pil, sotto di 0,3 punti percentuali sia rispetto alla media Ocse, che è del 7,1 per cento, che alla media europea del 7,1 per cento. La Sanità italiana è in affanno. I medici sono pochi e meno pagati dei loro colleghi europei.

Gli ospedali si stanno svuotando. Così il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha chiesto al titolare dell’Economia di aumentare la dotazione del Fondo sanitario nazionale di almeno 4 miliardi di euro. Soldi che dovrebbero servire innanzitutto, a rafforzare le retribuzioni dei camici bianchi. I medici stanno ancora chiudendo il rinnovo del contratto del 2019-2021 (ieri c’è stata una riunione dei sindacati con l’Aran che ha portato a una prima schiarita), ma poi ci sarà da negoziare gli aumenti che coprono il periodo che va dal 2022 al 2024. Sono gli anni dell’impennata dell’inflazione. Ma c’è anche da rafforzare gli organici, non solo quelli dei medici ma anche degli infermieri. E poi servono risorse per la spesa farmaceutica e nuovi stanziamenti per ridurre le liste di attesa per gli esami e le cure negli ospedali. Come per gli altri ministeri, anche le richieste della Salute dovranno fare comunque i conti con la difficoltà di trovare risorse in un quadro di finanza pubblica in deterioramento.

Smart working, stop per 800mila dipendenti fragili ​(nel privato e nel pubblico) a fine settembre

Scuola. Per alzare le paghe dei professori servono cinque miliardi

di Lorena Loiacono - Per la scuola servono risorse da destinare soprattutto al personale docente e ata, vale a dire bidelli, amministrativi e tecnici di laboratorio. Sui temi dell’edilizia e dell’ammodernamento è infatti già aperta la partita dei fondi che arrivano dal Pnrr. Ci si concentra quindi sulla remunerazione del personale e sulla necessità, sottolineata più volte dal ministro all’istruzione e al merito Giuseppe Valditara, di valorizzare l’impegno di chi porta avanti la scuola. Secondo le stime sindacali ci si aggira su una cifra base di almeno 5 miliardi. “Parliamo di bisogni essenziali - spiega Ivana Barbacci, segretaria generale Cisl scuola - servono almeno 3 miliardi di euro per il prossimo contratto istruzione e ricerca. Considerando che il rinnovo contrattuale sottoscritto a luglio ha richiesto 2,8 miliardi, per il prossimo non si può scendere sotto i 3. A questi aggiungiamo la necessità di risorse per portare a regime i ruoli del tutor e dell’orientatore: si tratta di almeno 500 milioni per estendere le due figure a tutte le classi di scuola superiore e alle classi di scuola media. Sono necessarie poi le risorse per aumentare l’organico ata in maniera strutturale e non solo da turn over, con un piano pluriennale”. Quest’ultimo intervento potrebbe richiedere almeno 700 milioni di euro. Le risorse per la scuola potrebbero quindi orientarsi sugli oltre 5 miliardi di euro. 

Sicurezza. Un piano di assunzioni per le Forze di Polizia e i Vigili del Fuoco

Dopo la “tempesta perfetta” che per anni ha portato le forze di polizia ad avere sempre un minor numero di risorse umane e un’età media altissima, il Viminale pretende che anche per il 2024 siano stanziati almeno novanta milioni di euro per il solo Dipartimento sicurezza, per garantire le assunzioni straordinarie di agenti e vigili del fuoco, aggiuntive rispetto a quelle del normale turn over. Piantedosi ha scelto la platea di Cernobbio per dire no ai tagli: «Abbiamo già invertito il trend, dobbiamo continuare così e dopo aver creato il Fondo continueremo a incoraggiare questa direzione, cercando ulteriori fondi nelle pieghe di bilancio». Il Viminale l’anno scorso ha messo in rilievo il fatto che, per la prima volta dopo molti anni, ci siano stati più agenti assunti che nuovi pensionamenti, una deroga alle norme della pubblica amministrazione, reso possibile dalla manovra 2023. 
Ma non ci sono solo le forze di polizia. In capo al ministero dell’Interno c’è anche la gestione dello spinoso dossier immigrazione, che anche quest’anno, come in quello passato, dovrebbe pesare per quasi 118 milioni di euro per le casse dello Stato, se non di più visto che gli arrivi sono raddoppiati rispetto allo scorso anno e si pensava di creare nuove strutture di accoglienza per gestire l’emergenza. Ma ci sono anche i fondi per le amministrazioni comunali, che sicuramente saranno tagliati dopo la crisi post Covid.

 

Fisco. L’Irpef con tre scaglioni costa quattro miliardi. Revisione delle detrazioni

La riforma fiscale del governo è stata approvata il mese scorso. Adesso dovrà essere “messa a terra” attraverso dei decreti attuativi. Alcune misure, poi, potrebbero essere anticipate con un decreto collegato alla manovra. Ma sulla misura principe della riforma, la riduzione delle aliquote Irpef, pesa l’incognita dei conti pubblici. Il governo vorrebbe attuare un primo modulo con la riduzione da quattro a tre degli scaglioni d’imposta. L’intenzione sarebbe quella di accorpare il primo e secondo scaglione. In questo modo tutti i redditi fino a 28 mila euro verrebbero tassati al 23 per cento. Rimarrebbero in vigore le altre due aliquote, quella al 35 per cento e quella del 43 per cento. Il beneficio arriverebbe fino a 260 euro l’anno. Il problema, come detto, resta il costo della misura che avrebbe bisogno di uno stanziamento di almeno 4 miliardi di euro. Un’ipotesi è che le risorse possano arrivare da un taglio dei crediti d’imposta. Secondo un recente studio del Servizio Valutazione d’Impatto del Senato, le sole riduzioni di imposta di competenza statale, comportano una perdita di gettito di 82 miliardi. La delega fiscale prevede il riordino degli sgravi. Il vice ministro all’Economia Maurizio Leo ha spiegato che la scure potrebbe abbattersi su una platea di crediti che vale 36 miliardi. 

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