Il commento - Astenuti e antipolitica: solo tre su dieci credono nei partiti

Il commento - Astenuti e antipolitica: solo tre su dieci credono nei partiti
di Vittorio Del Tufo
Martedì 2 Giugno 2015, 17:33
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Vincenzo De Luca ha sfondato anche a Napoli. Beh, d’accordo, «sfondare» è una parola grossa, dal momento che il vero dato, il più clamoroso ma non per questo il più inatteso di questa tornata elettorale è la percentuale bulgara di astensionismo, il crollo dell’affluenza, la fuga dai seggi della città capoluogo. A Napoli 60 elettori su 100 sono rimasti a casa. Dei rimanenti 40 su 100, che hanno scelto di votare, una percentuale altissima (il 25%) ha scelto il movimento di Grillo. Ha scelto cioè il voto di protesta nei confronti del tradizionale sistema dei partiti. Provate a sommare questa percentuale al dato dell’astensionismo (e a tradurla in valore assoluto) e verrà fuori un 70% di elettori che hanno detto: se questa è l’offerta politica, noi non ci stiamo. Ecco il vero trionfatore del 31 maggio: l’antipolitica.



È da qui che bisogna partire, da questo fronte ampio e variegato di dissenso, per capire dove sta andando la Campania e dove sta andando Napoli. Ed è da qui che dovrà partire l’ex sindaco di Salerno, che queste elezioni le ha vinte nonostante tutto e tutti: nonostante i mal di pancia del suo partito, il Pd, che ha provato fino alla fine, senza riuscirci, a frenarne la corsa; nonostante la tagliola della legge Severino che rischia di mozzargli le dita e la testa; nonostante l’inserimento un po’ canagliesco del suo nome nella lista degli «impresentabili» della commissione antimafia; nonostante il suo lessico, la sua storia e il suo profilo politico siano sideralmente distanti dal lessico, dalla storia e dal profilo politico dei Renzi boys cresciuti (ma non troppo) all’ombra del Vesuvio.



A De Luca tocca un compito ingratissimo. Provare a rimettere insieme i cocci e riavvicinare i cittadini alle istituzioni, a una politica troppo spesso inconcludente, litigiosa, autoreferenziale e vacua. E dovrà partire proprio da Napoli, che con il suo voto, anzi con il suo non-voto, ha scelto di chiudersi in una specie di silenziosa trincea. Una difesa quasi autistica che è lo specchio dell’isolamento in cui sembra essere sprofondata la città. Dal voto di domenica può aprirsi una nuova stagione di opportunità per la capitale del Mezzogiorno?



Probabilmente sì, a patto che la nuova Regione di De Luca abbia la forza e l’autorevolezza per riportare Napoli e la Campania tra le priorità del governo nazionale.
Ma è necessario che ognuno faccia la propria parte. Da troppo tempo la terza città d’Italia è scomparsa dai radar, esclusa dai processi decisionali, pluricommissariata da Bagnoli al Porto e considerata alla stregua di periferia dell’impero: appendice residuale e lamentosa della politica nazionale.




Riannodare i fili del dialogo con il governo è tanto più importante se si considera che negli ultimi mesi è andato in scena, tra Napoli e Roma, una specie di prolungato infarto istituzionale, quasi un dialogo tra sordi al quale ha contribuito non poco l’arroccamento del sindaco De Magistris. Il risultato è stato l’impasse (dei progetti, delle idee, dei progetti di riconversione) e il simbolo più evidente di questa impasse è certamente Bagnoli, dove l’immobilismo sembra essere diventato una malattia contagiosa.



In passato Napoli non ha amato Vincenzo De Luca. Lo ha sempre considerato un oggetto misterioso, pittoresco, sulfureo e, soprattutto, salernitano. Forse un po’ troppo salernitano per farsi carico dei problemi, e delle speranze, della capitale del Mezzogiorno, che domenica ha espresso così rumorosamente la sua protesta attraverso il non-voto. Però De Luca è riuscito lo stesso a espugnarla, la città-capoluogo che cinque anni fa gli negò il consenso e che fino a ieri lo riteneva un corpo estraneo. A Napoli l’ex sindaco di Salerno si è imposto su Stefano Caldoro con quasi dodicimila voti di distacco. Se De Luca è riuscito, dopo cinque anni, a vendicarsi della sconfitta rimediata nel 2010 proprio da Caldoro lo deve soprattutto al fatto che Napoli ha voltato le spalle al governatore di centrodestra.



Più del piglio decisionista del sindaco sceriffo crediamo che abbia pesato una certa debolezza comunicativa del competitor sconfitto, che non è stato in grado, per così dire, di lanciare il cuore oltre i numeri. Ma ormai è acqua passata: sul voto di domenica c’è il timbro di una nuova leadership. Che d’ora in avanti sarà atteso alla prova dei fatti. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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