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La sclerosi, l'arrivo dalla Sicilia e il grande aiuto di Rieti

Ospedale de Lellis
Ospedale de Lellis
di Sabrina Vecchi
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 10 Ottobre 2022, 00:10
4 Minuti di Lettura

RIETI - La malattia rimette in fila le priorità, scompiglia le abitudini, rivoluziona i progressi di vita. Vincenzo e Patrizia abitano a Mussomeli, in provincia di Caltanissetta. Hanno due figli ormai grandi, una ragazza di 19 anni che sta per iniziare l’università, un ragazzo di 16. Una bella e felice famiglia dove si insinua il dramma della sclerosi multipla. Vincenzo peggiora di giorno in giorno, sembra che per lui in Sicilia non si trovino cure. «Purtroppo - dice Patrizia - per mio marito non c’erano terapie efficaci. Siamo stati un anno e oltre senza vedere alcun miglioramento. Finché un amico ci ha consigliato di rivolgerci al professor Carlo Pozzilli, direttore del Centro sclerosi multipla dell’ospedale Sant’Andrea di Roma». Si parte dunque per il Lazio, per la Capitale e, visti i costi e il caos della città, è lo stesso professore a mettersi subito in contatto con un ospedale ugualmente efficace ma più raccolto. «Il professore chiamò una sua collega di Rieti, la dottoressa Francesca Marchione del reparto di Neurologia del de Lellis. Si sono mobilitati immediatamente per cercare il farmaco che serviva a mio marito». Il farmaco per l’infusione si trova e la coppia siciliana parte per l’ignota città di Rieti, «un posto che è stata la nostra rinascita».

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Il percorso. Patrizia e Vincenzo arrivano a Fiumicino, noleggiano un’auto e prenotano un b&b nei pressi dell’ospedale cittadino, dove a marzo di quest’anno vengono accolti dallo staff diretto dal dottor Steno Rinalduzzi. «Mio marito ha fatto risonanza e infusione di farmaco, hanno cercato di condensare il necessario in tre giorni - racconta la donna. - Ci sono stati vicini in tutto, anche io sono stata tranquillizzata a mai lasciata sola. E ho trovato persone straordinarie, non solo tra il personale sanitario». Nei corridoi dell’ospedale Patrizia ammazza il tempo facendo due chiacchiere e conosce per caso Giulio Falcetta, sindaco di Magliano Sabina. «Saremmo dovuti tornare a Rieti dopo soli quindici giorni, per testare a piccole dosi la reazione al farmaco di Vincenzo. Il signor Giulio ci consigliò di chiedere all’Alcli per il pernotto, invece di spendere ulteriori soldi». Nonostante Vincenzo non sia un malato oncologico, grazie all’interessamento della presidente Santina Proietti la casa di accoglienza di via del Terminillo solo due settimane dopo apre le sue porte ai due coniugi siciliani. Patrizia ricorda quel secondo arrivo a Rieti quasi surreale. «Il volo tardò, arrivammo all’Alcli intorno a mezzanotte, perdendoci tra le vie del quartiere che ora sappiamo si chiama Campoloniano. Abbiamo scoperto sempre dopo che l’ingresso diretto dalla via principale è stato chiuso, il navigatore non riusciva ad aiutarci, eravamo fermi in mezzo alla strada». In quel momento transita una provvidenziale pattuglia dei carabinieri che vede la coppia in difficoltà: «Non solo ci hanno guidati fino alla casa di accoglienza, ma ci hanno anche chiesto se avessimo cenato. Mio marito era molto stanco, evidentemente avevamo un aspetto davvero sofferente», spiega Patrizia, che quei due agenti vorrebbe tanto individuarli e ringraziarli. «Sono stati due angeli, come tutte le persone incontrate nella vostra città. Mentre noi ci sistemavamo nella stanza, loro sono andati a prenderci due pizze: un gesto indimenticabile». Vincenzo ora sta meglio, le cure funzionano, la malattia si è fermata, e lui a soli 47 anni ha un’aspettativa di vita decisamente buona. La coppia tornerà ad aprile a Rieti, alloggiando sempre un paio di notti alla casa di accoglienza dell’Alcli, perché lui possa assorbire le terapie e riposarsi prima di rimettersi in viaggio per tornare in Sicilia. Intorno al loro problema si è stretta tutta Mussomeli, «un paese che è come una grande famiglia», ma adesso un po’ di casa sta anche a Rieti. E Patrizia ha ritrovato il sorriso: «Devo ringraziare tante persone di questa città. Una città buona. E dire che non ne conoscevamo neppure l’esistenza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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