Teresa Saponangelo e il vino: «Che bevute in Costiera con Toni Servillo e Paolo Sorrentino»

«Non dimenticherò mai una bottiglia di Riesling alsaziano una sera a Rennes»

Teresa Saponangelo
Teresa Saponangelo
di Maria Chiara Aulisio e Gerardo Ausiello
Venerdì 16 Febbraio 2024, 12:00 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 15:22
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Versatile e affascinante, imperscrutabile ma spumeggiante, istrionica, appassionata, elegante. Teresa Saponangelo, poderosa attrice napoletan-tarantina, contiene in sé mille anime, come un caleidoscopio di emozioni. Trovare un vino che le somigli non è dunque impresa facile. Ma poiché le sfide ardue ci esaltano, eccoci qui a immaginare un paragone che, per quanto ardito, possa essere appropriato.

Un primo volo pindarico, ma non troppo, suggerisce un bianco che rappresenta un unicum nel panorama vitivinicolo italiano e non solo: l'Asprinio di Aversa. Un vino leggero e al tempo stesso intenso, con una freschezza tale da renderlo il compagno perfetto di piatti grassi che necessitano di un suggestivo contrasto. Per questo gli esperti lo accompagnano alla mozzarella di bufala, dove al sapore del latte si alterna la sensazione di assaporare una spremuta di agrumi. Eppure l'Asprinio, vitigno sorprendente e vivace che si conquista solo attraverso un lungo e delicato corteggiamento (la raccolta dei grappoli avviene anche a quindici metri d'altezza nell'eroica vendemmia dell'alberata), da solo non basta a incarnare la personalità camaleontica dell'attrice che ha stregato registi come Virzì, Rubini e Sorrentino.

Occorre allora lanciarsi in un secondo, audace volo pindarico. E qui ci viene in soccorso lui, il re dell'eleganza, il signore delle passioni, galeotto di amori sbocciati e ritrovati, dalla Francia al resto del mondo: il Pinot nero. Il vasto dizionario italiano non contiene abbastanza aggettivi per descriverlo ma forse il più adatto è «avvolgente», proprio come alcune performance teatrali e cinematografiche di Teresa Saponangelo. 

 

Teresa Saponangelo. Se fosse un bianco secondo noi sarebbe un Asprinio d'Aversa: leggero, intenso e freschissimo.
«Mi vedete così?».

Il suo dialogo con la signora Gentile nel film di Paolo Sorrentino è una conferma.
«Quella scena è surreale.

Lei in pelliccia d'estate che affonda le dita in una gigantesca mozzarella e mentre si sbrodola mi riempie di insulti, secondo me è un capolavoro».

«Site 'a munnezza d'a gente», la frase ormai è cult.
«Mi fermano per strada, “Site 'a munnezza d'a gente”, scoppio a ridere e ci facciamo un selfie».

Nello stesso film lei fa sponda con Toni Servillo che mangia e beve durante un pranzo di famiglia.
«Il tema della convivialità domina senza dubbio quella pellicola: “È stata la mano di Dio” gira molto intorno al cibo. In un modo o in un altro si finisce sempre a tavola, d'altronde è anche questa la filosofia napoletana».

Cibo e vino.
«Cibo e vino pure fuori dal set. Con Paolo e gli altri durante le riprese ci siamo concessi un paio di scorribande enogastronomiche di altissimo livello. La prima da don Alfonso a Sant'Agata sui due Golfi, l'altra dallo chef Gennarino Esposito a Vico Equense. Degustazioni memorabili».

Però non ci ha risposto: si riconosce o no nell'abbinamento con l'Asprinio d'Aversa?
«Certo che mi riconosco. È un vino allegro, leggero, brioso: in fondo io così sono e poi lo bevo molto volentieri. Anzi, vi dirò che con l'Asprinio si produce pure un ottimo spumante, elegante e molto ricercato. Quindi, grazie per l'abbinamento».

Passiamo al rosso: se le dicessimo che se fosse un vino sarebbe un Pinot nero?
«Risponderei che sono d'accordo pure su questo, adoro il Pinot nero. Ha quel vago sapore di lamponi, fragole, anche ciliegie. Ti lascia in bocca un gusto unico. Lo collego alla parte più oscura di me, quella impenetrabile ma che invece varrebbe la pena conoscere».

Primo bicchiere?
«Un bel calice di Primitivo. Sono di origini pugliesi, il Primitivo è sempre stato un'abitudine di famiglia. Ricordo ancora quando d'estate accompagnavo mio nonno a comprarlo in una cantina sociale a Nardò, in provincia di Lecce. Allora ancora non esistevano le belle bottiglie che si vendono oggi».

Andava il vino sfuso.
«Sì, spillato dalla vasca in grandi boccioni di vetro, ovviamente era quasi tutto Primitivo. Li caricavamo in auto, insieme con qualche lattina di olio d'oliva, e accompagnavamo i pranzi e le cene delle nostre vacanze».

Quindi rosso anche d'estate.
«Sempre. Non so bene per quale ragione ma a casa mia il bianco si consumava molto poco. Perfino con i ricci di mare si beveva il vino rosso. Ricci, pane, formaggio e Primitivo. Una goduria. E poi non si lasciava mai il Salento senza un paio di boccioni da asporto».

Dal Salento a Napoli.
«Ebbene sì, sono un'emigrante. Quando mio padre morì in un incidente sul lavoro - era marinaio - avevo due anni. Da Taranto, con la mamma e mio fratello, ci trasferimmo a Napoli, dalla nonna, in un palazzo in via Monte di Dio, di fianco al Politeama».

Un segno del destino.
«Ne sono convinta anche io. La mia passione per il teatro è nata proprio lì, andando a vedere gli spettacoli in cartellone quando non avevo niente da fare. Poi è venuto il cinema ma quello l'ho scoperto tardi, al liceo, il mio insegnante di italiano ci portava a vedere i film di Ken Loach e François Truffaut: li conosco quasi tutti e li amo quasi tutti».

Una bevuta memorabile la ricorda?
«Direi diverse anche se una bottiglia di Riesling alsaziano una sera a Rennes non la scorderò mai».

Buono?
«Buono? Straordinario, forse uno dei migliori che abbia mai provato. A fine serata eravamo tutti brilli ma con quel vino si sapeva già dove saremmo andati a finire».

Cena di lavoro?
«Sì, il tradizionale appuntamento al ristorante dopo lo spettacolo. Con il “Tartufo” di Moliere, a gennaio, siamo stati in tournée pure in Francia, doppia tappa a Rennes e Strasburgo».

Tavolata di attori.
«Funziona così. Cala il sipario, il tempo di cambiarsi e tutti finalmente a mangiare».

E a bere.
«Certo. Altrimenti che sfizio c'è». 

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