Le mirabolanti avventure dell'ingegner Orata tra le ostriche di Lucrino

L'amore per il lusso e l'amicizia con i potenti

Il lago Lucrino
Il lago Lucrino
di Vittorio Del Tufo
Domenica 11 Giugno 2023, 10:48
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«Dalle remote larve della terra
dalle anguste-alte ombre
la fatica schizza del tempo
e la linfa cupa del vivere
tra erosioni e deflagrazioni
si evolvono forme verso
la morte il silenzio...»
(Michele Sovente)

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Gaio Sergio Orata, chi era costui? Semplicemente uno degli uomini più ricchi del pianeta Terra nel I secolo avanti Cristo, ma soprattutto tra i primi ad essersi dedicato all'allevamento di pesci e di ostriche nel lago Lucrino, lago che deve il suo nome (dal latino lucrum, lucro, guadagno) agli straordinari profitti derivanti da quegli allevamenti. Se la fama di Lucrino, ancora oggi, è legata non solo alle sue leggende ma agli antichi vivai per le ostriche, molto (o forse tutto) è dovuto a quest'uomo che Cicerone definì ditissimus, amoenissimus, deliciosissimus (ricchissimo, divertentissimo, deliziosissimo) e alla sua passione per le orate, dalla quale derivò il suo cognomen.

L'imprenditore, senatore e ingegnere romano Gaius Sergius Orata fu il primo a rivendicare la superiorità dei mitili provenienti dal lago di Lucrino.

Il più grande ostricoltore di tutti i tempi guadagnò anche una gustosa e dotta citazione nella celebre Naturalis Historia di Plinio il Vecchio: «Sergio Orata fu il primo in assoluto che ideò nella sua residenza di Baia dei vivai per le ostriche, al tempo dell'oratore Licinio Crasso, prima della guerra contro i Marsi; spinto non tanto dalla gola quanto dalla sua brama di denaro, poiché sapeva trarre dal suo fertile ingegno grossi profitti (). Lui per primo ottenne un ottimo sapore dalle ostriche del Lago Lucrino, poiché gli animali acquatici, anche se sono della stessa specie, sono migliori o peggiori a seconda del luogo in cui vengono catturati».

Erano gli anni di Lucio Licinio Lucullo, di Vedio Pollione, delle loro dimore da favola e degli sfarzosi e pantagruelici banchetti che vi si svolgevano: festini a base di molluschi, crostacei e vino che rendevano dolci le notti e ai quali partecipavano notabili e vip dell'antica Roma, per i quali Napoli e i Campi Flegrei erano un autentico paradiso in terra. E Orata, amante del lusso e dei peccati di gola, di questi festini ne organizzava parecchi, invitando ospiti illustri e offrendo loro cibi prelibati. Gli allevamenti di pesci e ostriche, molto redditizi, proseguirono per tutto il periodo dell'impero romano. Ma era stato Orata a ideare le moderne tecniche di coltura, poi rivoluzionate, molti secoli dopo, dai Borbone (basti pensare a Carlo III, che nel 1752 acquistò il lago Fusaro, dalla Real Casa dell'Annunziata, per farne una riserva di caccia e pesca, e a suo figlio Ferdinando, che parecchi anni dopo ripristinò la coltura delle ostriche nelle acque del Fusaro).

L'allevatore di ostriche, nonché divoratore di orate Sergio Orata (il nome della pregiata specie ittica deriva a sua volta da sparus aurata, per la caratteristica striscia di color oro che il pesce mostra fra gli occhi) aveva un notevole fiuto per gli affari: a lui si deve l'introduzione delle camere d'aria riscaldata non solo negli impianti termali ma anche nelle vasche per l'itticoltura. L'acqua calda termale, immessa nelle piscinae (le vasche per i pisces, cioè per i pesci) favoriva l'allevamento delle specie ittiche più pregiate, a cominciare dalle amatissime orate.

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Si narra che il Divo Nerone, vissuto nel I secolo dopo Cristo, ossessionato dal cibo quanto lo era dal sesso, trangugiò una sera, in una squallida taverna del centro antico di Napoli, centonovantanove ostriche del lago di Lucrino. La duecentesima pare che non volle mangiarla perché preoccupato di danneggiarsi la voce: voce che gli serviva per i suoi concerti, come quello, passato alla storia, del 64 d.C. nel teatro romano dell'Anticaglia. I Romani andavano pazzi anche per il garum, una salsa liquida a base di interiora di pesce e aggiunta di pesce salato. «Eccomi arrivata, conchiglia ebbra delle acque del Lucrino presso Baia. Ora, da amante del lusso, ho sete del prezioso garum», scrisse Marziale in un celebre epigramma dedicato alle ostriche.
Il prode Orata, l'uomo che sussurrava alle Ostriche, non fu il solo vip a scegliere il lago di Lucrino per dimorarvi o per organizzarvi feste e ricevimenti. Celebre la villa di Marco Tullio Cicerone, chiamata Academia e passata alla storia soprattutto per aver ospitato le spoglie dell'imperatore Adriano, morto nel 138 in uno dei palazzi imperiali nella vicina Baia.

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Narra la leggenda che in passato il lago di Lucrino, separato da mare solo da una sottile lingua di terra, fu teatro di una delle celebri fatiche di Ercole. Sarebbe stato proprio l'eroe a creare l'istmo, per condurre in Grecia i buoi che aveva catturato al feroce Gerione, il gigante con tre teste. La laguna salata dove passò Ercole divenne così una tappa della via Herculea. Molto tempo dopo venne sommersa dal mare, per effetto del bradisismo. Il mito che si incrocia con la storia e con la natura, sotto il cielo dei Campi "ardenti".
Ma la leggenda più nota è quella del Delfino del lago. Una struggente storia di amicizia tramandata fino ai giorni nostri da Plinio il Vecchio in uno dei suoi racconti: «Durante il principato del divino Augusto un delfino penetrò nel Lago Lucrino. Un bambino, figlio di un pover'uomo, che era solito andare dalla zona di Baia a Pozzuoli per frequentarvi la scuola, fermandosi in quel luogo a mezzogiorno, aveva preso ad attirarlo a sé, chiamandolo col nome di Simone e dandogli da mangiare i pezzetti di pane che portava per merenda. Il delfino si affezionò straordinariamente al fanciullo. In qualunque momento del giorno, per quanto celato dalle profondità del lago, appena il bambino lo chiamava, il delfino si precipitava da lui e, dopo aver ricevuto cibo dalle sue mani, gli offriva il dorso perché vi salisse. Per parecchi anni lo portò così a scuola, a Pozzuoli, attraverso la grande distesa del lago, riconducendolo poi allo stesso modo a casa. E quando un giorno il bambino morì per malattia, il delfino ripetutamente tornò al luogo consueto, triste e del tutto simile a una persona afflitta; e alla fine anche lui, per quanto incredibile possa apparire, morì dal dispiacere».

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«Là dei Cimmeri è il popolo, e la città, di nebbia e caligine avvolti; mai su di loro il sole splendente guarda coi suoi raggi» (Omero, Odissea).
Nella sua Naturalis historia Plinio il Vecchio colloca tra il lago d'Averno e il lago di Lucrino l'ingresso della misteriosa città sotterranea dei Cimmeri, il popolo che non vide mai il sole, e conobbe sempre lo stesso orizzonte, un orizzonte di pietra e di terra, di pozzolana e tufo, e di cunicoli sotterranei che si inseguivano per chilometri e chilometri, fino a perdersi nelle viscere delle città capovolte. Secondo la leggenda i Cimmeri - antica popolazione nomade, forse proveniente dalle zone interne dell'Anatolia - vivevano tra il lago d'Averno e Baia, e si rifugiarono nel sottosuolo per ripararsi dalla furia devastatrice dei vulcani. Nel sottosuolo i Cimmeri avevano un Santuario al quale erano ammessi i forestieri che, desiderando conoscere il proprio destino, si rivolgevano all'Oracolo dei Morti, situato sotto terra, nei pressi dell'ingresso dell'Ade. Un mistero in più negli abissi delle città capovolte.

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