Il vice responsabile della moschea: «Ouali ospitato da mio cognato ma ignoravamo la sua attività»

Le fasi dell'arresto del presunto terrorista dell'Is davanti alla sua abitazione a Bellizzi
Le fasi dell'arresto del presunto terrorista dell'Is davanti alla sua abitazione a Bellizzi
di Alessandro Mazzaro
Martedì 29 Marzo 2016, 07:55
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La faccia dell’integrazione realizzata si trova in via Keplero a Bellizzi. E’ qui che 24 anni fa nacque la prima moschea della provincia di Salerno e che ancora oggi ospita la cospicua comunità di fedeli residente in zona. Un punto d’incontro e di preghiera frequentato da centinaia di musulmani pienamente inseriti nel tessuto sociale della cittadina. Abdullah è uno dei responsabili del centro: 63 anni, marocchino, è uno dei primi migranti nordafricani giunti nella Piana del Sele. Arrivò in zona nel 1978. Un’esistenza felice che non vuole venga scalfita dalla circostanza che ha portato il fratello della moglie ad ospitare in casa sua Djamal Eddine Ouali, arrestato sabato scorso. «Non ho mai parlato con questa persona e non ho mai voluto averci a che fare, per mia deformazione caratteriale non riesco ad intrattenere rapporti con estranei – sottolinea - voglio evidenziare che quando mio cognato ha deciso di dare accoglienza ai due si è recato immediatamente alla Questura per i dovuti adempimenti burocratici. Per il resto non so niente».

Per quel che concerne la comunità musulmana nel suo complesso, avete notato qualcosa di strano nei giorni che hanno preceduto l’arresto di Djamal Eddine Ouali?
«Nulla. Da queste parti nessuno l’ha mai visto: qui ci conosciamo tutti, siamo come una grande famiglia. Abbiamo voluto la moschea nel 1992 solo per pregare».

Qual è stata la vostra reazione al caso di Bellizzi?
«Siamo rimasti sbalorditi. La nostra comunità è totalmente integrata a Bellizzi, e tantissimi, come me, hanno famiglia ed i nostri figli si sentono e sono italiani al cento per cento. L’organizzazione interna, inoltre, prevede un elevato livello di controllo: quando notiamo qualche persona “estranea” e priva di documenti durante le preghiere provvediamo subito a segnalarla alla Questura. In questo periodo particolare non ci fidiamo di nessuno. Vogliamo tranquillità, e per noi chi tocca l’Italia tocca i nostri figli ed i nostri fratelli». 
C’è il timore che quello che è accaduto possa rovinare il percorso di integrazione?
«In Marocco c’è un detto che dice: un pesce marcio può guastare l’intera cassetta e noi non permetteremo che tale episodio metta in discussione quarant’anni di fiducia con una città che ci ha fatto sempre sentire a casa. Il rispetto è reciproco. Con le istituzioni abbiamo lavorato fianco a fianco per creare le condizioni necessarie a far sentire a casa i nuovi arrivati».

Come si immagina il futuro?
«La gente ci conosce è una vita che conviviamo in piena serenità e desideriamo con tutte le nostre forze che sia per sempre così». 
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