Spacciavano all’interno del carcere e nel quartiere Mercatello. Il pubblico ministero ha chiesto il giudizio per i 14 indagati incastrati lo scorso 21 settembre al termine di una complessa indagine antidroga che ha portato all’emissione di nove ordinanze di custodia cautelare (otto in carcere ed una ai domiciliari). L’appuntamento è per il prossimo 20 novembre nell’aula 8 della Cittadella giudiziaria davanti al gup Francesco Guerra e al collegio difensivo (avvocati Dario Barbirotti, Antonietta Cennamo, Stefania Pierro, Maurizio De Feo e Giovanna Eliana Fiore).
Associazione finalizzata allo spaccio è la pesante ipotesi di reato contestata a carico di Antonio Abate, ritenuto il promotore ed organizzatore dell’attività illecita; Alessandro Rinaldi, Natale Memoli, Silvia Pappalardo, Antonio D’Elia, Francesco Mercadante, Giorgio Prisco, Raffaele Grillo, Giulio Placanico, Maurizio Iagulli e Davide De Simone. Meno gravi, invece, le accuse formulate a carico degli altri tre indagati Antonio Memoli, Giovanni Casciano e Francescantonio Mascia.
Ruolo apicale spettava al 45enne Abate; era lui, secondo gli inquirenti, ad impartire ordini e direttive per il coordinamento delle attività di spaccio, a fissare il prezzo della merce e a tenere la contabilità, controllando quindi sia la “rete vendita” che gli incassi. Abate, inoltre, era costantemente informato dai pusher addetti alla vendita al dettaglio dell’andamento degli affari. Un gradino più in basso c’erano il 47enne D’Elia e il 36enne Rinaldi che, per conto di Abate, supervisionavano e coordinavano l’attività dei pusher come Memoli, Prisco, Placanico, Mercadante e Grillo (quest’ultimo noto alle cronache giudiziarie sia per il coinvolgimento in un accoltellamento a Pastena, che per la tragedia del rogo sul treno dei tifosi granata).
In più la Pappalardo, Rinaldi e Grillo avevano anche il compito di preparazione, taglio e confezionamento della sostanza stupefacente (per questo veniva utilizzato l’appartamento della donna, la “bionda”, come era indicata dagli indagati). Gli inquirenti hanno ricostruito la frenetica attività di spaccio (crack, cocaina, hashish e marijuana) messa in piedi dagli indagati all’interno del carcere di Fuorni. Secondo le risultanze investigative era Antonio Memoli, sfruttando i permessi di cui godeva, a procurarsi da Abate lo stupefacente che poi introduceva in carcere: questo fino ad ottobre 2020 quando venne sorpreso, dalla polizia penitenziaria, in possesso di hashish. Dalle indagini inoltre è emerso che Memoli riusciva anche a procurarsi dei cellullari attraverso i quali contattava Abate per il reperimento della droga da introdurre in carcere. Il ruolo di corriere spettava a Casciano, gestore di un pub in città, che partecipando ad un progetto per il confezionamento di mascherine da parte dei detenuti aveva libero accesso al penitenziario di Fuorni.
Le indagini, fondate in particolare sulle intercettazioni disposte dalla Dda, tra il 2020 e il 2021, hanno documentato continui rifornimenti di stupefacente da parte degli indagati. Gli spacciatori utilizzavano un linguaggio criptico del tipo «magliette», «bollette», «sigarette» o «bianco come il latte» per indicare la qualità della droga.