Kingsley Ben-Adir è Bob Marley: «Nei suoi panni ho capito chi era»

Al cinema il biopic prodotto da Ziggy Marley, figlio della star giamaicana

Kingsley Ben-Adir nei panni di Bob Marley: one love
Kingsley Ben-Adir nei panni di Bob Marley: one love
di Francesca Scorcucchi
Giovedì 22 Febbraio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 17:24
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«Ho imparato a suonare la chitarra, a muovermi come lui, ho imparato le sue espressioni facciali. Ho indossato i panni di un mito». Kingsley Ben-Adir, 37 anni, londinese di Camden (Kentish town), interpreta il re del reggae in «Bob Marley: one love», arrivato nei cinema italiani dopo il successo straordinario ottenuto negli Stati Uniti. A sceglierlo per il ruolo è stato nientepopòdimeno che Ziggy Marley, figlio della star giamaicana e produttore del biopic. Ben-Adir, visto in «Barbie» interpretare uno dei tanti Ken, ha deciso di accollarsi un rischio: «È stata una scelta pericolosa: non sono un musicista e non capisco la musica se non come ascoltatore. Mi sono imbarcato in questo viaggio partendo da zero. Ho voluto imparare a suonare la chitarra, non tanto perché fosse una necessità - possono sempre doppiarti mentre tu fingi di suonare, oppure possono inquadrarti in modo che la chitarra non sia in campo - ma perché fingere non sarebbe stato il giusto modo di approcciarsi ad un personaggio così leggendario».

Ben-Adir ha cercato di capire che cosa significhi avere la musica dentro: «Ho imparato che Bob amava alzarsi prestissimo la mattina, prima del sorgere del sole e scrivere le sue canzoni all'alba.

L'ho fatto anche io, anche se non ho rivoluzionato la storia della musica, come ha fatto lui assurgendo al trono del reggae».

Diretto da Reinaldo Marcus Green, il regista di «King Richard - una famiglia vincente», biopic con Will Smith sul padre delle sorelle del tennis Williams, il film inizia raccontando la crisi politica in Giamaica degli anni Settanta e la nascita di un album storico come «Exodus», offrendo uno sguardo intimo sulla vita del musicista grazie soprattutto ai ricordi di coloro che gli erano vicini. 

«Capire la relazione che aveva Bob Marley con la musica è stata per me una scoperta incredibile», dice l'attore, «quando si è trattato di imparare le sue canzoni ho iniziato da “Redemption song” e da “No woman, no cry” perché le conoscevo, erano le sue canzoni che conoscono tutti. Poi ho approfondito la sua produzione e ora posso dire che prima non lo conoscevo affatto. La sua musica, i suoi messaggi, la spiritualità che esprime li ho scoperti solo facendo questo film, scavando a fondo nel personaggio e nella sua anima che si moveva su ritmi a levare. Credo che il reggae lo abbia salvato. Scrisse la sua prima canzone quando era ancora un bambino e la chitarra, che gli fu regalata intorno ai 14 anni, divenne il suo modo per uscire dal ghetto, la sua redenzione attraverso la creatività». 

Kingsley Ben-Adir si è preparato guardando i video di Marley e dei Wailers, dai primi agli ultimi: «Ascoltando una registrazione del 1971 e una del '79, anche un orecchio non particolarmente esperto come il mio nota la crescita straordinaria dell'artista, sia dal punto di vista tecnico che creativo. Questi dettagli non sarei stato in grado di coglierli se non avessi cercato anche io di imparare a suonare e se non fossi stato sul set circondato da musicisti. Durante le riprese sono stato letteralmente abbracciato dalla cultura e dalla musica giamaicana».

Ziggy è al centro del progetto, un tributo all'arte dell'illustre genitore: «Ero un bambino, a casa della nonna, quando mio padre morì. Mia nonna non dovette dirmi nulla, già sapevo». Ad appena 36 anni Bob Marley morì, colpito mesi prima da una rara e aggressiva forma di melanoma, fra le braccia della moglie Rita (nel film interpretata da Lashana Lynch). «Rita piangeva e lui le disse, perché piangi? Non devi piangere, devi cantare», racconta Ben Adir, «e Rita capì: si muore solo quando si è dimenticati ed è per questo che Bob Marley vive».

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Il re del reggae era ridotto a uno scheletro e dovette tagliare i suoi famosi dread, perché non riusciva più a reggerne il peso: «Deve essere stato tremendo per lui. Facendo ricerche ho visto molte interviste in cui, prendendo tra le dita una ciocca di capelli diceva: questa è la mia identità. L'ho inseguita grazie alle parrucche, così reali, magnificamente create dal reparto trucco».

Sullo schermo va in scena la leggenda del santo fumatore: primo artista non angloamericano a conquistare le classifiche internazionali, volto di una Giamaica che voleva la fine della lotta per bande che insanguinava il Paese e la legalizzazione della marijuana: «Lui cantava e scriveva di cose che vedeva intorno a lui. E sofferenza era quello che vedeva».

Ma torniamo a «Exodus»: definito dal «Time Magazine» «Il miglior album del ventesimo secolo» («Ogni canzone è un classico, dai messaggi d'amore agli inni della rivoluzione») e dalla Bbc come «l'album che ha definito il ventesimo secolo», torna in una nuova versione, in vinile, per collezionisti, che contiene anche un 10 pollici con rare bonus track e una copertina alternativa, che si vede anche in una scena del film, tratta dal layout originale dell'album, curata da Neville Garrick, designer creativo nonché amico di lunga data di Bob. «Exodus» viene definito come «un documento senza tempo che rivela pubblicamente contemplazioni e riflessioni sulla vita di uno degli artisti più rivoluzionari del XX secolo», scrive il direttore del Jamaican Music Museum Herbie Miller nelle nuove note di copertina. Ai fan del reggae ora il giudizio, al popolo rastafari la sentenza, agli amanti della musica il piacere di risentire in giro per il mondo canzoni che non si possono dimenticare e che sarebbe bello consegnare alle nuove generazioni. Che conoscono meglio il reggaeton del reggae. 

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