Favino: «Io, un poliziotto antieroe che non arriva a fine mese»

L'attore è protagonista del noir «L'ultima notte di Amore»

Pierfrancesco Favino
Pierfrancesco Favino
di Titta Fiore
Giovedì 2 Marzo 2023, 08:25
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Dopo i grandi ruoli ispirati alla storia politica italiana o alla cronaca, come Bettino Craxi e Tommaso Buscetta, dopo personaggi letterari come Felice Lasco di «Nostalgia», Pierfrancesco Favino torna al cinema nei panni di un uomo comune, un antieroe del quotidiano come ce ne sono tanti, e per questo protagonista di una storia universale. In «L'ultima notte di Amore» di Andrea Di Stefano, presentato in anteprima al Festival di Berlino nella sezione Special Gala e dal 9 marzo nelle sale distribuito da Vision, è un poliziotto esperto e ammirato dai colleghi, una persona onesta, un marito devoto.

Franco Amore, così chiama, è arrivato a fine carriera senza aver mai sparato a un uomo, e se ne vanta. Ma l'ultima sera prima della pensione, mentre a casa amici e parenti si preparano a stappare lo spumante, tutto precipita: l'incontro con un boss della mafia cinese stravolge la sua vita e quella del compagno di pattuglia Dino, amato come un fratello (Francesco Di Leva, sempre efficace), e in pochi attimi i loro sogni di futuro si infrangono drammaticamente contro un muro della tangenziale di Milano, tra scontri a fuoco e rivoli di sangue sull'asfalto livido. «Ci siamo presi la libertà creativa di raccontare la realtà per quella che è» dice l'attore, «quanto a me, non mi penso mai secondo compartimenti stagno, mi appassiono alle storie e sono felice di rappresentare al pubblico cose diverse. Fare in modo che qualcuno si immedesimi nel personaggio di Franco Amore è la vittoria più bella.

Più difficile che in sala capiti a vedermi un Bettino Craxi».

Costruito come un solido film di genere («Volevo fare un poliziesco realistico ambientato nell'Italia contemporanea, ispirato dall'amore per i film di Kurosawa e affascinato dai meccanismi tensivi di Hitchcock», spiega il regista), prodotto da Indiana, Memo, Adler e Vision in collaborazione con Sky, nel cast anche Linda Caridi e Antonio Gerardi, «L'ultima notte di Amore» è un polar che pone e si pone molte domande, interrogandosi anche sul concetto di onestà. Favino: «Per me nel lavoro la principale forma di onestà è l'impegno, un contratto non scritto che da trent'anni ho stipulato con il pubblico. Tornando al film, raccontiamo un uomo normale che si ritrova in una condizione eccezionale, un poliziotto onesto che si lascia convincere nelle ultime ore di servizio a fare uno strappo alla regola che gli costerà caro e lo obbligherà a trovare il modo per uscire dalla valanga che gli si abbatte addosso. Questa vicenda non ha niente di politico, piuttosto rivela una cosa che sanno tutti, ovvero che molti poliziotti non arrivano a fine mese e sono costretti a fare il doppio lavoro.

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La sfida era quella di verificare se un genere che siamo abituati a vedere con altri volti e altre uniformi potesse essere credibile rispetto alla nostra realtà e credo che la scommessa sia stata completamente vinta». Di Stefano, un passato da attore e una lunga esperienza americana alle spalle, spiega: «Volevamo smarcarci dall'utilizzo sfrenato degli effetti digitali per eliminare ogni patina di finzione. Sul nostro set era tutto vero, abbiamo girato in pellicola come si faceva negli anni Settanta. Si parla tanto della magia del cinema in sala, allora facciamo in modo che il pubblico possa sognare, riportiamo il cinema alla sua potenza visiva».

A Berlino Favino ha letto un comunicato sul mancato rinnovo del contratto collettivo dei lavoratori dell'audiovisivo. «Ma il vero problema - commenta - è che nelle grandi produzioni internazionali i ruoli degli italiani vengono recitati da attori stranieri. In questo siamo gli unici al mondo. C'è poco rispetto per il nostro cinema, se non imponiamo delle regole finiremo per diventare una piccola colonia nel sistema globale. Lo dico per i giovani attori che devono essere orgogliosi della nostra mediterraneità e difenderla. Un film tutto napoletano come "Nostalgia" ha fatto grandi incassi anche in Francia, mentre da noi abbiamo permesso che la famiglia Gucci parlasse sullo schermo con l'accento del New Jersey». Come si rimedia? «Il cinema italiano deve difendersi a livello istituzionale. Se una produzione straniera prende il 40 per cento di tax credit, deve rispettare dei paletti. A me non farebbero mai fare Kennedy, non vedo perché uno straniero debba interpretare Agnelli».
 

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