Festival di Cannes 2021, Sergio Rubini sul red carpet: «Viva i film d'autore»

Festival di Cannes 2021, Sergio Rubini sul red carpet: «Viva i film d'autore»
di Titta Fiore
Giovedì 15 Luglio 2021, 08:00
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Léa Seydoux, la primadonna del Festival, ufficializza il forfait causa Covid: «Vorrei poter celebrare il ritorno al cinema, ma è nell'interesse di tutti avere un eccesso di cautela e fare la mia parte per tenere tutti in sicurezza, il mio cuore è con voi». La notizia della positività dell'attrice Palma d'oro con «Storia di Adèle», sebbene vaccinata con due dosi, era circolata nei giorni scorsi e ieri ha avuto la conferma ufficiale. E così, dopo aver disertato la première di «The French Dispatch», la diva in quarantena ha dovuto rinunciare alla passerella dei film «The Story of My Wife» dell'ungherese Ildiko Enyedi e «Deception» del francese Desplechin (quest'ultimo è basato sul romanzo autobiografico di Philip Roth, girato durante la pandemia, Seydoux è l'amante dello scrittore). Assente anche Jasmine Trinca, impegnata nei preparativi del suo primo film da regista, «Marcel!», a parlare di «The Story of My Wife» c'è a Cannes Sergio Rubini, con Josef Hader e Louis Garrel nel cast della devastante storia d'amore ambientata negli anni Venti a Parigi. «Io sono l'anima nera del film» spiega l'attore, «il motore dell'intera vicenda, perché sfido il protagonista, un capitano di lungo corso, a sposare la prima donna che entrerà nella taverna del porto frequentata da entrambi». A varcare la soglia fatale sarà la bella, misteriosa Seydoux, e naturalmente le nozze saranno nient'affatto tranquille. «Raccontiamo l'inadeguatezza di ciascuno di noi rispetto all'amore. La regista Enyedi definisce il film una meravigliosa lettera d'amore a tutti gli uomini imperfetti, io direi: scritta a tutti gli uomini imperfetti da donne imperfette». 

Il personaggio di Rubini è ambiguo, equivoco: «Non è la prima volta che mi capita di interpretare tipi loschi, anche violenti, e io non lo sono per niente, non ho mai alzato le mani. È proprio vero che il cinema ti offre la possibilità di diventare chi non sei». Coproduzione europea (per l'Italia partecipano Palosanto e Rai Cinema), il film uscirà in sala anche da noi. «Mi sono riconosciuto nella passione artigianale della regista, oggi il cinema d'autore non va più di moda e per me, anche per motivi generazionale, è una mazzata terribile. Sono felice quando posso sfuggire all'omologazione, ci sono serie tv dirette da registi diversi che però devono assomigliarsi tutti per non far cambiare lo stile della narrazione. I film ormai sono diventati prodotti da banco per le piattaforme, io mi riconosco in un cinema diverso, per me il regista deve essere autore di prototipi». Come cineasta, ha in uscita «I fratelli De Filippo», una storia di teatro e di vita all'ombra del capostipite Scarpetta che si dice possa andare alla Mostra di Venezia; come attore è impegnato nelle riprese di «Inferno», diretto da Mimmo Paladino, dove è uno dei Re Magi con Alessandro Haber e Francesco De Gregori, mentre Laurie Anderson è un Lucifero rock. Come ricorda il suo debutto a Cannes, Rubini? «Ci venni con Fellini e Giulietta Masina per Intervista', era il 1987, in albergo mi diedero una camera così lussuosa che dormii vestito per non sciuparla. E poi ricordo che Martin Scorsese aspettò Federico in ginocchio sul red carpet. Dopo la proiezione ci offrirono una cena da nouvelle cuisine nel roof dell'hotel: porzioni piccolissime, quando uscimmo Fellini organizzò una spaghettata per tutti». Al Festival si è dato il cambio con l'ex moglie Margherita Buy, molto apprezzata in «Tre piani» Moretti: «Ogni premio a Margherita mi emoziona, è una grandissima attrice che scoprii in un teatro di Roma a vent'anni.

Oggi continuiamo a parlare di tutto, come in passato, ma mai di Nanni, a quel che ho capito lui non vuole». 

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Sul tappeto rosso ha fatto sensazione l'arrivo di Sharon Stone con uno stupendo abito botticelliano costellato di fiori in rilievo: la diva americana è sulla Croisette per il galà Amfar, contro l'Aids. Molto applaudito alla Quinzaine, anche «Europa» dell'italo-iracheno Haider Rashid è una coproduzione con l'Italia (Fair Play), già acquistato da Wonder per la distribuzione in sala. Racconta con inquietante realismo l'odissea del giovane Kamal fuggito dall'Iraq per entrare nella «fortezza Europa», mentre i mercenari dei paesi confinanti danno spietatamente la caccia ai migranti. «Il personaggio di Kamal è un simbolo, incarna l'esperienza che vivono ogni giorno migliaia di donne e uomini in fuga» dice il regista, già autore dell'applaudito corto «No Borders». Ambientato nelle foreste della rotta balcanica e girato in Toscana, «Europa» è il frutto delle testimonianze dirette raccolte dai migranti che attraversano i confini tra Turchia e Bulgaria. Rashid: «Da anni cerco queste storie e le traduco in immagini perché credo nel valore del cinema come arte, ma anche come monito». 

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