Mario Martone è di casa alla Mostra. Qui ha presentato il suo primo film, «Morte di un matematico napoletano», vincendo nel 92 il Leone d'argento, e qui è tornato tante volte, in gara e in giuria. Ieri ha ricevuto al Lido il premio Robert Bresson, assegnato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla «Rivista del Cinematografo» con il patrocinio dei Dicasteri per la Cultura e l'Educazione della Santa Sede. «Ho avuto tante bellissime esperienze a Venezia, ma non mi aspettavo un'emozione del genere» ha detto il regista. «È un premio che porta a farmi delle domande. Io non appartengo al mondo cattolico, sono da sempre laico e quindi la straordinaria apertura che la Chiesa dimostra in questo momento, dialogando con il mondo nella sua complessità su temi importanti come la condivisione, mi sembra un gesto di grande fiducia e speranza». Toccante la dedica alla memoria di Giovambattista Cutolo, il giovane musicista ucciso a 24 anni per un parcheggio. «La sua è una vicenda che ci ammutolisce. Nella mia città, Napoli, si trova tutto quello che c'è al mondo: il dolore e la gioia, la violenza e la speranza. L'unico modo per uscirne è l'incontro».
Il premio Bresson rappresenta una tappa significativa nel suo percorso di autore colto, poliedrico, non omologato. «Bresson è un regista che ho sempre amato moltissimo» dice, «Il diavolo probabilmente è uno dei miei film preferiti e quando in Francia uscì Morte di un matematico, una rivista scrisse che suggellava l'incontro impossibile tra Bresson e Eduardo De Filippo».
Ha seguito la polemica sollevata da Favino sui ruoli italiani affidati ad attori stranieri? «Conosco bene il grande valore e la competenza di Pierfrancesco, credo che semplicemente abbia invitato il cinema italiano a fare sistema, a sostenersi reciprocamente nella creazione di uno star system come accade nei paesi scandinavi o in Francia. All'Italia del cinema non manca il talento, semmai manca la capacità di fare rete. Chi partecipa alla corsa agli Oscar, com'è capitato anche a me con Nostalgia, lo sa bene: in fondo sente di essere solo, di non avere un paese cinematografico alle spalle. Credo che si parli di questo, non certo della libertà di scelta che nell'arte è essenziale».
Reduce dal successo della ripresa dell'allestimento dell'«Aureliano in Palmira» a Pesaro, ora Martone si prepara a tornare sul set. «Sto scrivendo con Ippolita Di Majo il nuovo film che girerò a Roma in primavera. Avrà a che fare con Goliarda Sapienza, della quale abbiamo già portato in teatro “Il filo di mezzogiorno”. Ma non dico di più».