Pietro Castellitto a Venezia: «I giovani? Vogliono soltanto sentirsi vivi»

«Il mio Enea è un eroe romantico, ha bisogno di sentire dentro di sé il movimento della vita»

Pietro Castellitto sul red carpet
Pietro Castellitto sul red carpet
di Titta Fiore
Mercoledì 6 Settembre 2023, 07:00
4 Minuti di Lettura

«Un gangster movie senza la parte gangster. Una storia di genere senza genere». «Enea» di Pietro Castellitto, passato ieri in concorso per l'Italia tra molti applausi e una standing ovation per il cast, è un film straripante di idee, vitale come sanno esserlo i giovani, ironico, irriverente, anche romantico. Dentro c'è tutto: l'amore, il conflitto, le ambiguità della famiglia borghese, le feste e lo sballo, la cocaina e i circoli esclusivi, il lusso, la cultura da salotto, la criminalità di quartiere. E c'è Roma, forte e avvolgente come un personaggio. Al suo secondo film dopo «I predatori» premiato a Venezia, Castellitto, anche protagonista, ha voluto nel cast parte della famiglia: Sergio Castellitto è il padre psicologo di Enea («nessuno avrebbe avuto la sua ironia, forse solo Adam Driver» dice Pietro, scherzando sulla polemica di Favino contro gli attori stranieri in ruoli italiani), Cesare Castellitto è il fratello minore, mentre Chiara Noschese interpreta la madre, conduttrice insoddisfatta di un programma di libri in tv, Benedetta Porcaroli è Eva, la ragazza bellissima che lo fa innamorare e Giorgio Quarzo Guarascio l'amico inseparabile. Sul red carpet sono una folla. Prodotto da The Apartment del gruppo Fremantle con Luca Guadagnino per Frenesy, «Enea» uscirà in sala il 25 gennaio con Vision Distribution, guardando anche ai mercati stranieri. Dice Castellitto: «Tutti abbiamo voglia di rendere la nostra vita un'avventura. Enea e Valentino non fanno eccezione».

Cosa racconta il film?
«Il desiderio di sentirsi vivi.

Muove tutte le scelte di Enea ed è tipico della gioventù, in ogni città, in ogni quartiere».

Però lei ha scelto la Roma borghese.
«Perché è funzionale dal punto di vista drammaturgico. Nella Roma bene il desiderio di sentirsi vivi diventa più simbolico. Enea e Valentino sono quasi costretti a inventarsi una guerra».

Enea, Eva: i nomi dei personaggi non sono scelti a caso.
«Sono figli di una generazione che si sente rappresentata dal mito, ma in realtà non ha niente di simbolico. Però volevo svincolarmi dal cliché secondo cui la famiglia borghese apatica genera figli tristi. In realtà Enea vive in una famiglia piena di umanità».

Tra feste, sballo e coca, il film descrive la «grande bruttezza» della società contemporanea?
«Per me è pieno di bellezza. I personaggi forse non perpetuano i valori che la società considera giusti, ma sono pieni di un vitalismo incorruttibile. Anche innocenti. Fanno di tutto per l'amore. Enea è un eroe romantico, ha bisogno di sentire dentro di sé il movimento della vita, è un'aspirazione non élitaria sentirsi liberi, trasversale a tutti i giovani».

Nel film c'è metà della sua famiglia.
«In realtà ho fatto di tutto per tenere fuori mio padre, ma il personaggio era perfetto per lui. Sapevo che avrebbe avuto l'ironia necessaria e sono contento, è stato un modo per conoscerci meglio in un ambiente diverso dal solito».

E cosa ha scoperto?
«Cose che non si esprimono a parole. Quello che ho capito di mio padre me lo si legge sul volto, in qualche ruga in più. È come se ora lo vedessi in uno stato vergine».

Sergio ha accettato subito?
«Lo chiamai all'una di notte. Io mi addormento tardi, lui va a letto presto e mi rispose: Sto a dormì. Era un sì».

E gli altri attori?
«Questo è un film di personaggi, devo tutto a loro. Quando incontri un attore, è più importante prendere insieme un caffè al bar che fare il classico provino. Ho avuto la fortuna che tutti gli attori scelti avessero la vita dentro. Spesso, invece, incontri dei ventriloqui al posto degli attori».

Come si fa un film di genere senza usare il genere?
«È il punto di vista a render simbolica una storia. L'idea era di mostrare le contraddizioni del mondo criminale nella quotidianità».

Il film racconta un ambiente molto eterogeneo.
«Ho frequentato tanti ambienti da ragazzo, sono un tipo curioso. E la curiosità ti porta ad avere un approccio non ideologico alle persone. Creare una buona atmosfera è l'aspetto più importante, rende credibili i trucchi».

Al secondo film, già in concorso a Venezia. Che effetto fa?
«È un onore e un grande orgoglio. Ma ora l'ansia cede il passo alla curiosità di vedere come va a finire. Sei felice perché il peso non grava più tutto su di te e puoi consegnare il film agli altri, a chi lo guarderà». 

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