Penultima giornata del concorso, ultimo dei sei film italiani in gara: il fluviale «Lubo» di Giorgio Diritti accende i riflettori su una storia di ingiustizie e pregiudizi che, partendo dalla Svizzera degli anni Trenta, si riverbera cupamente sul nostro presente. Ispirato al romanzo di Mario Cavatore Il seminatore, lungo tre ore, il film racconta la storia di un nomade Jenisch, cui le istituzioni sottraggono i figli per sradicarli dalla loro cultura. «Lessi il libro qualche anno fa, mi colpì perché affrontava un caso molto iniquo avvenuto in un paese che, nell'immaginario popolare, rappresenta una culla di democrazia» dice il regista de «Il vento fa il suo giro» e «Volevo nascondermi». «Ho sentito l'urgenza di occuparmi di questa vicenda: è lo specchio dell'incapacità dell'uomo di concepire e comprendere la diversità, a mio avviso un grande valore che va tutelato. Rispetto al romanzo ho scelto di stare più sul protagonista Lubo perché impersona la drammatica contraddizione tra la semplicità di un artista di strada e la violenza del potere che prevarica il cittadino. Mi piaceva l'idea che, pur lottando contro un sistema più forte, cercasse comunque di ricostruirsi una vita e non avesse mai perso la speranza nel futuro».
Lubo, continua Diritti, «è un povero cristo nel senso buono del termine, un uomo che si vede strappare i figli mentre fa il militare nell'esercito elvetico e si prepara a difendere i confini dal rischio di un'invasione tedesca.
Prodotto da Indiana, Aranciafilm e Rai Cinema, interpretato da Franz Rogowski e Valentina Bellè, in sala il 9 novembre, «Lubo» è stato girato in due nazioni cambiando 120 location tra paesini, monti, fiumi e laghi. «È un film nomade, pieno di eroi, un'avventura straordinaria» sorride uno dei produttori. Diritti: «È andata come quando ti indicano una montagna da scalare e di ti dicono che devi arrivare in cima. Che puoi fare? Stringi i denti e sali». La storia richiama quella raccontata da Bellocchio in «Rapito»: «Evidentemente c'è nell'aria qualcosa che risuona, un allarme che non possiamo ignorare. Far sì che l'uomo sia libero nella sua crescita, educato secondo parametri non castranti, è un segnale necessario. Dobbiamo tutelare i giovani dall'omologazione suggerita dai social».
Di diversità parla anche l'altro film del concorso, «Holly» della belga Fien Troch, coprodotto dai fratelli Dardenne. Protagonista una ragazzina sensibile vista come una strega o una santa per via delle sue strane premonizioni. Un giorno decide di non andare a scuola e poche ore dopo nell'istituto scoppia un incendio con morti e feriti. «Questa storia» spiega la regista, «è la mia più personale perché anche io, proprio come Holly, ho una grande attenzione per gli altri e interesse per le cose più pure».
In margine alle Mostra, Raoul Bova ha presentato al Lido «I fantastici 5», una nuova serie in otto puntate prodotta da Lux Vide per Canale 5 di cui è protagonista con un gruppo di giovani attori e le atlete paralimpiche Martina Caironi, Monica Cintraffatto e Ambra Sabatini. «Interpreto un allenatore di persone con disabilità» dice, «il mio personaggio non insegna a vincere ma ad essere felici, perché lo sport è questo: gareggiare, fare squadra, arrivare insieme».