«Potere alle parole», rapper in cattedra per dare lezioni di antirazzismo

«Potere alle parole», rapper in cattedra per dare lezioni di antirazzismo
di Federico Vacalebre
Martedì 10 Dicembre 2013, 13:21 - Ultimo agg. 19:54
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Amir Issaa, 34 anni, romano de’ Roma (di Torpignattara, per la precisione), anche se di padre egiziano. Ha conosciuto le difficolt degli italiani con la pelle un po’ pi nera, ha trovato nell’hip hop la maniera di reagire ad un disagio familiare non leggero, quindi un lavoro: prima breaker e writer con la posse dei Riot Vandals, poi rapper di un certo successo (dalla colonna sonora di Scialla all’ultimo album Grandezza naturale). «Avevo lasciato la scuola alle medie», racconta lui, «se oggi mi invitano a scrivere sui blog e a tenere lezioni nelle scuole è grazie all’hip hop. Mi accorgevo che le rime degli altri erano migliori, che conoscevano più parole di me e mi mettevo a leggere, a studiare». Ora, dopo che anche la tv si è interessata a lui e non solo per «Caro Presidente», brano-lettera a Napolitano sul tema dello ius soli, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e l’associazione Il Razzismo è una Brutta Storia lo hanno scelto come direttore artistico di «Potere alle parole», presentato ieri in Feltrinelli.

Un progetto sperimentale, con l’obiettivo di parlare ai ragazzi di razzismi d’ogni tipo attraverso la voce dei rapper, «con la loro musica, insomma, per arrivare prima e meglio che con qualsiasi altro professore», dice da Paola Di Lazzaro, dell’Unar, per cui Amir ha messo in piedi un laboratorio musicale in cui riflettere su stereotipi e pregiudizi alla base delle discriminazioni per origine etnica, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità...



Il rap, capace prima e meglio di qualsiasi altro linguaggio di esprimere istanze, contraddizioni e urgenze di una società in perenne mutazione, entra a scuola, insomma. «Potere alle parole» appunto, quasi a dimostrarne l’importanza.

Issaa ha coinvolto quattro colleghi. Ognuno di loro sarà «docente», nei prossimi giorni, in un istituto superiore: Ghemon nel liceo Colletta della sua Avellino (il 17 e il 18), Mistaman a Bari, Kiave a Bisignano (Cosenza), Madbuddy a Palermo. Amir salirà in cattedra a Roma: «Ho un figlio di 13 anni, ho visto nella sua scuola meno discriminazione di quelle che ho dovuto subire io, ma so bene ancora quanto razzismo, quanti razzismi ci siano in giro, e come sia pericoloso non fare nulla finché siamo in tempo».



Fare qualcosa con il rap? «Sì, non faremo lezioni generiche di hip hop, ma ragioneremo su come usare le parole. Quelle di noi che facciamo musica non vanno prese troppo sul serio, possiamo dare voce a un personaggio come si fa a cinema, e nessuno accusa cowboy e soldati del grande schermi di incitare la violenza. Ma è bene sapere che quelle parole c’è chi le ascolta». Il potere, rischioso, delle parole, insomma: «Sì, parole che non devono essere buoniste, ma chiare», conclude Ghemon, all’anagrafe Gianluca Picariello. «Mi è capitato di trovarmi in mezzo a una discussione massmediatica sugli insulti ricevuti in campo da Balotelli, l’espressione riportata da stampa e siti era ”Negro di m...a”, ma la parola da censurare era la prima, non la seconda».
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