De Gregori, per brevità chiamato artista contemporaneo

Francesco De Gregori a Napoli, Studio Trisorio
Francesco De Gregori a Napoli, Studio Trisorio
di Federico Vacalebre
Domenica 1 Giugno 2014, 16:55 - Ultimo agg. 18:06
3 Minuti di Lettura
La prima volta non si scorda mai? Non lo so, ad una certa et non si pu pi parlare di prima volta, sorride Francesco De Gregori entrando sornione nello Studio Trisorio , dove si inaugura Soundings, che per davvero la sua prima volta nell’arte contemporanea: luci e suoni, si inseguono e completano in due sale collegate della galleria napoletana. Lucia Romualdi disegna con le luci cerchi e dati di maree, ruba numeri ai libri di bordo, proietta immagini di marosi. Il principe della canzone d’autore sonorizza il tutto con «Cardiologia», brano tratto dall’album del 2006 «Calypsos», riscritto e trattato per l’occasione. «Per brevità chiamato artista», suggeriva il titolo del disco del 2008. «Sempre di arte si tratta, e non è detto che, avendoci preso gusto, non possa riprovarci. Ma dovrei trovare qualcuno che, come la Romualdi, che vive nel mio quartiere romano, sappia conquistarmi con la sua proposta: l’arte per me è una passionaccia, deve commuovere. E Lucia mi ha commosso». Perché proprio «Cardiologia», con un ampio repertorio a disposizione più «attinente» al tema marino dell’installazione, da «Miramare» a «Titanic», da «Oceano» a «Ma come fanno i marinai»? «Lucia ha scelto il brano, non so perché, ma l’occasione, e l’applicazione in galleria, l’ha in qualche modo liberato dal peso delle parole, reso puro suono. Non conta quello che dico, ma il canto: per una sala ho risuonato e ricantato, per tre volte consecutive, avrei potuto fare ricorso a un loop, per arrivare al quarto d’ora di tempo necessario, ma... Nell’altra stanza il testo non c’è più, e ho integrato la partitura incisa per l’occasione di violoncello e contrabbasso con il clic delle diaproiezioni, che cambiano ogni 11 secondi: un rumore, un suono, un beat». Un’occasione per lavorare, almeno una volta, sulla musica, senza avvertire il «peso» delle parole. «Anche, ma senza rinnegarle. Ormai nessuno più mi chiede di spiegare una canzone che, proprio come un’opera d’arte contemporanea, non va spiegata ma vissuta, percepita in maniera pre-razionale, post-razionale, in ogni caso non meramente razionale». «Non c’è niente da capire», avrebbe suggerito il titolo di un’altra canzone.

«L’arte è passione, lo ripeto. Io, rispettando i classici, ad esempio, preferisco i contemporanei: forse perché hanno attraversato la mia stessa storia. A proposito, mi viene in mente ”Museica”, strepitoso album di Caparezza che racconta storie di artisti, quadri, beffe d’arte». Si dice che i rapper siano i nuovi cantautori. «Ma Caparezza non è un rapper o un cantautore, piuttosto un artista che ha fatto un disco molto bello, complesso, adatto a diverse letture. E che parla di arte e cultura in un momento in cui parlare di arte e cultura non è proprio di moda». Che facciamo parliamo di politica? Del trionfo di Renzi? «No, siamo qui in nome dell’arte». «Buffalo Bill» è stata ispirata da una litografia di Otto Dix, «Il guanto» da un quadro di Max Klingwer. Artisti preferiti in territori più contemporanei? «Da Warhol a Paladino, da Manzoni a Kounellis, di cui ho appena visitato la bella mostra partenopea nella galleria di Eduardo Cicelyn. Mi intrigano anche le vite di certi artisti. Quando entro in un museo mi sento come un bambino con le mani nella marmellata». «Si avvicina un altro debutto, un’altra prima volta, quella segnata da «Guarda che non sono io», titolo dylaniano della prima biografia degregoriana autorizzata. «È vero, la presenteremo a luglio a ”Collisioni”, festival che si tiene a Barolo. Sarà che a quarant’anni mi sembrava strano che qualcuno scrivesse un libro su di me o su chiunque faccia il mio mestiere, ma a 63 anni posso capire che qualcuno sia curioso di sapere qualcosa di più su di me. O perché c’è Alessandro Arianti, che è il mio tastierista oltre che ottimo fotografo, o perché lo pubblica Silvia Viglietti della SvPress. Per questi, ed altri motivi che nemmeno conosco né mi chiedo, stavolta non mi sono tirato indietro: ho persino collaborato un poco, aprendo cassetti, frugando nella memoria. Ma il mio mestiere rimane scrivere canzoni, non romanzi o poesie».

Ps. Sembra che tra i prossimi passi del suo mestiere di cantautore De Gregori preveda anche un duetto con Ligabue per un album di suoi classici rivisti e riletti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA