Gigione il re delle sagre: «Il mio show, sacro e profano»

«Sono proprietario di uno dei più grossi negozi di musica in Italia, 650 mq e 21 vetrine»

Gigione
Gigione
di Giovanni Chianelli
Domenica 6 Agosto 2023, 08:00 - Ultimo agg. 7 Agosto, 07:40
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Lo chiamano Mister Campagnola, ma sarebbe meglio definirlo il re delle sagre, delle feste di piazza, forse anche del trash. Nessuno, tra maggio e ottobre, fa più date di Luigi Ciavarola, in arte Gigione: «Diciamo 100 ma sono di più, me ne levo qualcuna sennò dicono che sono uno sbruffone». Di solito ci si toglie l'età, lui si sottrae i concerti. Di anni ne ha 78, 62 dei quali passati, soprattutto, a cantare. A 13 anni si esibiva al basso, fu verso i 20 che gli fecero capire che la voce era il suo strumento: «Ogni sera offro un pranzo completo, dal comico al sacro, dal classico al romantico. E piaccio ad almeno 4 generazioni. Così nasce la "Gigiomania"», spiega lui, che stasera sarà a Buccino, domani a Montecorvino Rovella, martedì a Lenola (Latina), mercoledì a Prata Sannita, Giovedì a Sessa Cilento, Venerdì a Monsampolo del Tronto (Ascoli Piceno), sabato a Scapoli (Isernia), domenica a Capriati al Volturno, il 14 a Roccabascerana, Ferragosto a San Vito Romano...

La «Gigiomania» non riguarda solo la Campania?
«No e nemmeno solo il Sud, suoniamo molto tra Abruzzo e Lazio, Molise e Toscana.

Quasi la metà delle date le facciamo lontano dalla Campania. E poi all'estero: Svizzera, Belgio, Francia e Germania, i posti dove ci sono emigranti del Sud Italia. Negli Usa ho già fatto varie tournée, tra il 1985 e il 2000. 'A campagnola ha viaggiato per il mondo».

Orgoglioso?
«A volte sì. Sono appena tornato, a distanza di pochi giorni, a una manifestazione, La festa bavarese, che si teneva a Visciano: mi avevano affidato l'inaugurazione ma la capienza del campo sportivo era limitata e molti non sono riusciti a vedere il concerto. L'amministrazione, per accontentare gli esclusi che erano migliaia, mi ha chiesto di bissare. Non mi era ancora capitato».

La «Gigiomania dilaga».
«E conquista nuove generazioni. Sotto il palco cantano con me dai 5 ai 95 anni, il pubblico va dalle centinaia dei piccoli centri alle 10.000 persone degli eventi maggiori».

Lei tiene insieme le triviliatà di «'A campagnola» e «Trapenarella» con l'afflato religioso di «Padre Pio».
«A metà anni '90, ero a suonare a Pietrelcina. Mi incantai a guardare una statua del santo, qualcuno mi disse: perché non gli dedichi un brano?. Nacque Padre Pio, un successone, diventato anche una sorta di film. Poi pochi anni fa Valerio Vestoso ha girato un documentario su di me, Essere Gigione».

Ma come si passa dalle allusioni licenziose al frate di Pietrelcina?
«Faccio una cosa che si fa da millenni, unisco sacro e profano. L'ho imparato stando nelle piazze, la gente prima vuole peccare e poi chiedere perdono, o viceversa: dopo aver pregato vuole svagarsi».

Come va con i suoi figli, Jo Donatello e Menayt?.
«Se suono con loro il concerto dura oltre 2 ore, altrimenti un'ora e mezza. Dall'anno prossimo i ragazzi mi lascieranno devono trovare una carriera autonoma, rischiano di restare solo figli di Gigione: faranno spettacolo insieme».

Lei è anche un imprenditore.
«Sono proprietario di uno dei più grossi negozi di musica in Italia, 650 mq e 21 vetrine, oltre 1.000 chitarre in vendita. Vivo di musica».

È amato in modo trasversale.
«Ho suonato 'A campagnola con Clementino, i 99 Posse mi dedicarono un Curre curre Gigiò in un programma di Peppe Iodice e recentemente, in iniziative di solidarietà per l'alluvione in Emilia, hanno usato una mia versione di Romagna mia invece che quella di Casadei. Salvini nei comizi mette i miei pezzi. Credo che venga molto rispettata la capacità di entrare nel cuore della gente semplice».

Ecco, appunto: come si fa a piacere al popolo?
«Un po' l'esperienza, un po' un dono naturale. Me ne accorgo ogni sera: riesco a sentire il polso del pubblico. Se c'è gente anziana vado sui classici, se ci sono i giovani li faccio ballare sui tavoli, scendo tra la gente ed è un successo. Mai una scaletta, improvviso sempre regolandomi sull'umore delle persone. Anni fa ad Avellino non c'era né il palco né un impianto di amplificazione. Ma mica potevo andarmene: usai un paio di casse e anche là riuscì la magia, il giorno dopo ne parlarono i giornali». 

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