La Monarchia: il singolo “Ossa” e il limbo della vita di provincia

La Monarchia: il singolo “Ossa” e il limbo della vita di provincia
Mercoledì 23 Giugno 2021, 21:47 - Ultimo agg. 21:48
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Come nasce il progetto La Monarchia?

«La Monarchia nasce nel 2012 un po’ per caso, dall’incontro fortunato tra me (Giulio), Matteo, e Lapo. All’epoca suonavamo tutti in progetti diversi e per pura coincidenza iniziammo a condividere la stessa sala prove. Era un posto molto stimolante, frequentato da tante band della Valdelsa e gestito da un’associazione giovanile. E’ così che ci siamo conosciuti, abbiamo iniziato a suonare insieme nei ritagli di tempo, poi il progetto si è fatto via via sempre più ambizioso e ci ha assorbiti totalmente. Qualche anno dopo si sono aggiunti alla formazione originaria anche Gianmatteo e Lorenzo».

Questo nome cosa sta a significare per voi?

«Confesso che quando pensiamo al nostro nome non ci soffermiamo mai, o almeno non più, su quello che effettivamente per tutti la parola rappresenta. Quando lo scegliemmo eravamo semplicemente stanchi dei nomi inglesi che avevano i nostri precedenti progetti, cercavamo qualcosa d’impatto che nel bene o nel male pizzicasse l’attenzione delle persone, ma soprattutto volevamo un nome in italiano dal momento che cantavamo nella nostra lingua madre. L’ispirazione venne dal saggio Dantesco il “De Monarchia“ ma la scelta non fu legata in nessun modo al contenuto dell’opera. Mi imbattei in questo testo durante un esame di letteratura, piacque subito a tutti, comunicava potenza ma possedeva anche un certo fascino decadente che ci intrigava molto. Eravamo innamorati del suono della parola, ma forse inconsciamente se lo scegliemmo fu anche per la sua natura provocatoria dovuta all’enorme fardello che questo nome si porta dietro. Adesso è diverso, quando pensiamo a La Monarchia pensiamo semplicemente a noi».

E come nasce la collaborazione con Flebo Records e Banana Studios per il nuovo singolo?

«Grazie a delle conoscenze in comune i nostri provini sono arrivati tra le mani dei nostri produttori. A loro sono piaciute le nostre canzoni e a noi è piaciuto il loro modo di lavorare e la loro visione sul nostro progetto. E’ avvenuto tutto in maniera molto naturale, ci siamo capiti da subito. Siamo molto felici di questa nuova collaborazione, e ci sentiamo molto fortunati. E’ incredibile pensare che una grande occasione come questa ci sia capitata proprio nel 2020, un anno tremendo per tantissimi settori, in particolare per la musica».

“Ossa” è il vostro nuovo singolo. Qual è il messaggio che volete mandare con questa canzone?

«Con Ossa abbiamo avuto finalmente l’occasione di raccontare della città in cui siamo cresciuti e del rapporto conflittuale che per anni abbiamo avuto verso di essa. Nel brano si parla di una storia d’amore, ma anche di aspirazioni e di sogni e di come tutte queste cose spesso rischino di restare intrappolate svanendo nel limbo incerto della vita di provincia. Ossa è un pezzo che parte da lontano, è nato qualche anno fa un po' come fosse un flusso di coscienza. Non siamo riusciti però a decodificarlo da subito perciò il brano è rimasto incompiuto in qualche hard disk per mesi. In questo lasso di tempo poi è accaduto che molti di noi hanno avuto la fortuna di viaggiare e di vivere altrove. Queste esperienze sono state fondamentali, il distacco ci ha permesso di riflettere molto sul posto in cui siamo cresciuti e di vedere le cose in maniera più chiara, apprezzando tante sfumature che prima non percepivamo. Riprendere in mano Ossa per chiuderne la scrittura è stato quindi quasi un passo obbligato ma anche spontaneo. C'era bisogno di andarsene e poi di tornare per trovare una risposta a certe domande».

C'è sempre qualcosa di autobiografico nella vostra musica o vi ispirate anche alla realtà che vi circonda?

«Beh  le due cose si potrebbe dire che coincidano pure. Quello che ci circonda in qualche modo finisce sempre per contaminarci. Tutto ciò che ci succede intorno, in maniera più o meno diretta, va a scalfire la nostra sfera emotiva, anche quando non ce ne riandiamo conto, anche le piccole cose, e diventa inevitabilmente parte di noi, della nostra storia. Per rispondere alla domanda quindi direi che: si il motore delle nostre canzoni è sempre autobiografico, senza quello probabilmente il foglio rimarrebbe bianco, perché per noi è impossibile parlare di ciò che non conosciamo e di ciò che non abbiamo vissuto, non ne siamo proprio capaci».

Come nasce l'idea del videoclip per la regia dello stesso frontman della band Giulio Barlucchi?

«Volevamo qualcosa di semplice senza particolari substrati narrativi che distogliessero l’attenzione dal racconto già presente dentro la canzone.

In questo caso perciò l’immagine ha assolto il compito di colonna sonora della musica. La città raccontata dentro il brano è fondamentalmente la vera protagonista del video. Il fatto che le riprese siano state effettuate durante la fase rossa del Lockdown e che la città fosse praticamente deserta è stato fondamentale per trasmettere il giusto mood dipingendo Poggibonsi come un luogo senza spazio e senza tempo».

Quanto il cinema e il racconto per immagini hanno influenzato la vostra musica?

«Direi molto. Per noi una canzone e un film sono due cose quasi equivalenti. Ambedue raccontano una storia con il loro protagonisti e nel farlo cercano di trasmettere un messaggio e di veicolare emozioni. Nella scrittura per esempio ci aiuta molto immergerci nell'azione, guardarci intorno, raccontare il momento, assaporarne i colori e le sfumature. Il nostro legame con l'immagine è talmente forte che molto spesso le nostre canzoni, come i film, hanno la loro dominante di colore, perciò guardare la scaletta di un nostro live è un po' come guardare una tavolozza di colori».

State lavorando ad un secondo disco? Potete anticiparci qualcosa?

«Al momento stiamo lavorando ad un secondo singolo che uscirà a metà estate. Abbiamo tante belle canzoni che non vediamo l'ora di farvi ascoltare e che con tutta probabilità faranno parte di un album, o quanto meno ce lo auguriamo».

Ci sono artisti con i quali vorreste collaborare nel panorama italiano ed internazionale?

«Volendo esprimere un desiderio, un artista con cui vorremmo sicuramente collaborare è Tom Yorke. I Radiohead ci hanno influenzato notevolmente nella nostra musicalità. Il metodo di scrittura di Yorke è unico nel suo genere. Anche da solista, mostra una libertà poetica/musicale impressionante».

Come vi trovate nella dimensione del palco a suonare dal vivo e quanto vi manca farlo in questo periodo storico?

«Grazie per questa domanda. Ribadire le nostre origini è una cosa che ci fa sempre piacere. Il live per noi è tutto dal momento che esistiamo per davvero solo quando suoniamo su un palco. Veniamo da una gavetta, ancora in corso per altro, fatta di tanti concerti in locali di qualsiasi tipo e dimensione che ci ha donato momenti preziosi che rimarranno per sempre nei nostri cuori . Il contatto con il pubblico per noi è importante a tal punto che già dalla scrittura di un brano e dal suo primo arrangiamento seguiamo un criterio che vede il Live come punto di arrivo. Suoniamo per noi stessi è vero, perché per noi la musica è necessità, ma suoniamo soprattutto per gli altri. Il concetto di condivisione sta alla base della musica e il Live ne rappresenta il suo esempio massimo».

Venite tutti dalla Toscana che racchiude al suo interno le meravigliose Firenze, Siena, Pisa. Che rapporto avete con le città d'arte?

«Magico credo sia il termine giusto, è come vivere dentro un grande museo da cui fondamentalmente non esci mai. Noi poi siamo stati molto fortunati a crescere in un posto che è letteralmente “a due passi” dalle città citate sopra. Ad ogni modo, senza scadere nella retorica, credo che in generale ogni italiano dovrebbe ritenersi estremamente fortunato e soprattutto orgoglioso di vivere in un paese con un patrimonio storico-culturale come il nostro, non è così scontato, spesso ce lo dimentichiamo. Cito Roma, Napoli, Torino, Verona, Agrigento solo per aggiungerne alcune a quelle elencate sopra nella domanda, ma la lista potrebbe essere infinita se si tenessero in considerazione anche i borghi e le città più piccole. Senza consapevolezza non ci può essere valorizzazione, ma questo è un altro discorso...».

Vi piace viaggiare?

«Tantissimo. Viaggiare è fondamentale per conoscere meglio il mondo e conoscere meglio noi stessi. Non è importante quanto vai lontano, quello che conta è quanto riesci a portarti a casa da quella esperienza. Il viaggio non è solo andare nel punto B partendo dal punto A, ma è sopratutto quello che ci sta in mezzo. Come raccontavo prima, il viaggio, inteso come una serie di esperienze che hanno maturato in noi consapevolezze nuove, è stato fondamentale per la scrittura di Ossa. Il fatto di uscire dalla propria comfort zone e di relazionarsi con situazioni nuove è una cosa necessaria per il processo creativo».

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