Maria Pia De Vito, This woman's work: «Il jazz si suona tra pari ma resta mondo maschile»

Da Kate Bush a Virginia Woolf e Ornette Coleman

Maria Pia De Vito
Maria Pia De Vito
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Sabato 5 Agosto 2023, 10:00
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Il titolo è di quelli da incorniciare, perfetto completamento della trilogia diversamente femminista con «Sisters are doin' it for themselves» degli Eurythmics o «Girls just wanna have fun» di Cindy Lauper: «This woman's work». Maria Pia De Vito, regina del jazz vocale italiano, l'ha rubato a Kate Bush (era in «The sensuale world» del 1989) per il suo nuovo album, pubblicato dalla Parco della Musica Records. «Non è un disco di denuncia ma di riflessione sulla condizione femminile e le strategie di sopravvivenza che le donne assumono da secoli a questa parte», spiega lei vocalmente più che ispirata, come dimostra subito l'incipit di «There comes a time», presa dal repertorio di Tony Williams. Un canto libero magnificamente accompagnato dai compagni in questa avventura: Mirco Rubegni alla tromba, Giacomo Ancillotto alla chitarra, Matteo Bortone al contrabbasso ed Evita Polidoro alla batteria.

Il suono è diversamente elettrico, aggiorna il lavoro compiuto sul campo di confine da Miles Davis anche perché si muove tra canzoni-canzoni (ci sono anche «I want to vanish» di Elvis Costello ed «Every single night» di Fiona Apple); testi ispirati da Virginia Woolf, Rebecca Solnit, Margaret Atwood; il jazz di Ornette Coleman («Lonely woman»); il profumo di certo folk, ora inglese, ora americano.

L'ugola di Maria Pia ora sottile e sussurrante, ora corposa e profonda e l'interplay con il quartetto le garantisce un sostegno importante. 

«A mio parere», spiega lei, «certe questioni erano da risolvere non con parole ideologiche, o con demonizzazioni da cancel culture o discutibili quote rosa. Il risultato è questo ragionamento in musica sulle strategie di sopravvivenza delle donne in vari contesti storici o sociali, attraverso una collezione di canzoni, brani originali, adattamenti di poesie in musica e spoken words». Già, perché a tratti la cantante fa un passo indietro per lasciar rotolare le parole sulle note, facendo finta di abbandonarle a se stesse, in un altro tipo di in-canto. Che non rinuncia alla sperimentazione: «L'elettronica mi aiuta ad esperire il lato più francamente esplorativo delle possibilità della voce, dal suono al rumore. Mi considero una sperimentatrice che ama la melodia e il racconto per trovare cose nuove da fare e da studiare. Ho sempre suonato con musicisti, se si esclude il magnifico incontro con Rita Marcotulli, ma nel jazz si suona tra pari: al di fuori della musica il maschilismo è molto più presente».

Insomma, «This woman's work» allunga il catalogo delle voci della De Vito e l'uso del plurale è cosciente, vista la varietà della sua produzione, sempre a vette altissime, mai schiacciata su un genere, una corrente, una moda sonora: «Amo i cortocircuiti, i suoni anche storti ma personali. Questo è un disco anche di confronto, con il mondo maschile. Ho scelto canzoni in tema, ma il problema non è di genere, nel senso di sesso, ma di genere umano: la questione, dice Kate Bush, è progettare insieme, essere capaci di non essere prevenuti l'uno verso l'altra, ma anche al contrario. Il problema, per citare un altro pezzo, "Elephant in the room", è non trovarsi con elefanti nella stanza, ma dobbiamo riconoscere di essere così simili, così diversi, così complementari». 

Intanto, la mainstreamizzazione sonora fa strage in Italia anche dei festival jazz: «Succede che si occhieggi un po' troppo al pop, ma i giovani hanno abbattuto le barriere, non conoscono i confini delle definizioni. Da loro, dal mondo non anglosassone, arrivano messaggi importanti: il jazz è musica viva, nata per non fermarsi, troverà altre vie, magari tra un po', ma è qui per restare», conclude Maria Pia. 

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