Martin Scorsese e il docufilm su David Johansen: «La bambola del rock and roll»

«Personality crisis: one night only» in straming su Showtime

Martin Scorsese
Martin Scorsese
di Francesca Scorcucchi
Venerdì 4 Agosto 2023, 08:00
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«Conosco David Johansen da decenni e la sua musica è stata importantissima per me sin da quando ascoltavo le New York Dolls realizzando “Mean streets”. Allora come oggi, la sua musica cattura l'energia e l'eccitazione di New York City». La dichiarazione è di Martin Scorsese che continua sulla strada della realizzazione di documentari musicali (dopo The Band, i Rolling Stones e Bob Dylan) con un film dedicato al fondatore di un altro dei capisaldi del rock americano, anche se forse meno universalmente riconosciuto, David Johansen, oggi 73 anni, ancora magnificamente in attività.  

«Nel corso degli anni ho imparato a conoscere la profondità delle ispirazioni musicali di David», ha scritto Scorsese: «Dopo aver visto il suo spettacolo al Café Carlyle, ho capito che dovevo fare un film su di lui, era stato straordinario vedere l'evoluzione della sua vita e del suo talento musicale in un ambiente così intimo. Quello spettacolo aveva catturato il vero potenziale emotivo di un'esperienza musicale dal vivo e ne volevo parlare». 

Così, quando iniziò a pensare al progetto, tre anni fa, Scorsese decise di renderlo ancora più intimo e toccante facendolo diventare un affare di famiglia. Anche per una questione contingente, si era in piena pandemia, per intervistare Johansen assoldò Leah Hennessey, attrice, autrice e regista, ma soprattutto figlia di Mara, la moglie del musicista. Patrigno e figliastra si sedettero per filmare una serie di colloqui che avrebbero poi costituito lo scheletro di «Personality crisis: one night only», prodotto da Bryan Grazer e Ron Howard, che Scorsese ha diretto insieme a David Tedeschi, ed è stato messo in piattaforma da Showtime.

La chiacchierata con la figlia dunque si alterna con la serie di spettacoli che Johansen tenne nel gennaio 2020 nel newyorkese Café Carlyle.

Poco dopo il mondo avrebbe chiuso per Covid. Nelle interviste il leader delle Bambole di New York ragiona sul mondo e sulla vita. «Di solito non accetto di fare documentari in cui vengo intervistato», ha spiegato il rocker, «le poche volte che l'ho fatto mi sono sentito un perfetto idiota. Di se Cary Grant diceva: quando vengo intervistato temo che la gente realizzi quanto sono stupido.  Con Leah accanto però sapevo che le cose sarebbero andate diversamente. Sarà stata la confidenza che abbiamo fra noi, fatto sta che è stata una conversazione molto piacevole».  

Il documentario offre uno sguardo approfondito sulla vita del musicista di Staten Island, dalla sua adolescenza, agli esordi nell'East Village di New York, fino al successo dei New York Dolls. Attivi negli anni Settanta, e poi tornati sulle scene nel 2004, le Bambole sono stati tra i padrini della scena punk americana come dell'ondata glam rock. Il loro sound guardava al rock and roll anni Cinquanta, soprattutto ad un maestro come Chuck Berry, ed ai Rolling Stones più duri e lascivi, con un look assolutamente inatteso sul fronte machista del rock: Johnny Thunders (1951-1992, di cognome in realtà faceva Genzale ed i nonni venivano da Avellino), incredibile e sballatissimo guitar hero di origini italiane, il suo collega alla sei corde Sylvain Sylvain (classe 1951), il batterista Jerry Nolan (1946-1992), ed il bassista Arthur Kane (1949-2004), come Johansen, vestivano come travestiti con parrucche, trucco pesante, zeppe, rossetti sbafati, piume di struzzo... L'aspetto li fece notare, album come «New York Dolls» (1973, si apriva con «Personality crisis») e «Too much too soon» (74) li consegnarono alla storia del rock, aprendo la strada a Ramones, Blondie, Television, Richard Hell & The Voidoids, Dead Boys, Talking Heads... Come degli Stones più stradaioli mischiavano insieme, ad altissima tensione, Shangri-Las e Mc5, Ronettes e Stooges, come nell'esplosivo cocktail tra un vecchio gruppo femminile ed una banda di drag queen svergognate.
Johansen (era il tassista che incarnava il Fantasma dei Natali passati in «S.O.S. Fantasmi», commedia natalizia con Bill Murray), reunion a parte, poi ha lavorato da solista, realizzando ottimi dischi, anche sotto lo pseudonimo di Buster Poindexter, ironico crooner a metà strada tra Lenny Bruce e Cab Calloway. Anche dell'alterego e del successivo progetto dedicato al blues delle radici, The Harry Smiths, viene raccontato nel film che soprattutto scava nell'intimità dell'uomo e dell'artista.  

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Scorsese ha dato alla parente/collaboratrice Leah Hennessey un solo consiglio: «Il fatto che tu lo chiami papà non significa che ti dirà tutto quello che vuoi che ti dica. Lascia fare a lui, fagli dire quello che lui vuole dire». E così è stato. Le confidenze sono venute naturali. Ha parlato ad esempio del fatto che a inizio carriera, quando le Dolls aprivano i concerti di Pat Benatar, lui si sentiva come un insetto, insignificante e insicuro. «È un passaggio importante del documentario, che mostra dell'artista le fragilità che non aveva mai mostrato», conclude Scorsese. 

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