Michael Stipe in mostra a Milano: «L'arte è come la musica»

«Ho studiato e apprezzato molto l'arte e il genio fotografico di Robert Mapplethorpe»

Michael Stipe
Michael Stipe
di Enzo Gentile
Martedì 12 Dicembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:00
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Artista riservato, discosto dalle abbaglianti luci dei riflettori, Michael Stipe, da Athens, Georgiam, 63 anni, da qualche tempo vive una seconda vita: per trent'anni è stato il frontman di una delle band più acclamate del rock d'Oltreoceano, i R.E.M., oltre cento milioni di dischi venduti. Dal loro scioglimento, nel 2011, ha voluto esprimersi soprattutto come artista visuale, e in questa veste è ora in Italia, per il varo di una mostra al Museo del Novecento voluta dalla Fondazione Ica, l'Istituto contemporaneo per le arti: «I have lost and I have been lost but for now I'm flying high» è un'ampia rappresentazione del mondo di oggi visto da Stipe, circa 120 pezzi, che spaziano tra vari linguaggi, dalla fotografia alla ceramica, dalla scultura alle opere audio. Non c'è traccia del suo indirizzo o del suo pregresso, stellare, impegno musicale, anche se la voce di Michael è presente, con la lettura di alcuni passaggi scritti per l'occasione: tutto il progetto, che ha richiesto una lunga elaborazione e poi un lavoro di allestimento di una settimana, nasce per questa tappa milanese, disponibile al pubblico fino al 16 marzo.

L'universo di Stipe è questo e anche se qualche intervento in campo musicale negli anni è emerso - un singolo, la partecipazione a un tributo ai Velvet Underground, l'annuncio dell'uscita l'anno prossimo dell'atteso album solista più volte rimandato - resta inutile stuzzicarlo sul passato da acclamato rockstar.

L'unica concessione viene dal parallelo richiesto tra i due campi, un testacoda ieri e oggi: «Il mio approccio espressivo e produttivo è rimasto lo stesso.

Ho sempre amato lavorare in modo collegiale, coinvolgendo al massimo le persone che avevo al fianco, una volta i miei amici musicisti e i tecnici di studio, adesso anche i grafici, il curatore e tante altre persone fondamentali del team necessarie per raggiungere un ideale equilibrio creativo».

Nella mostra pare prendere il sopravvento il desiderio del ritratto, nei diversi aspetti e materiali proposti. Perché?
«In passato ho studiato e apprezzato molto l'arte e il genio fotografico di Robert Mapplethorpe che faceva di ogni sua opera qualcosa di unico e irripetibile. Nell'avvicinarmi allo strumento della fotografia non posso che cogliere una sorta di abitudine che ormai porta la gente a riprendere ogni cosa. Forse anche per questo, nel pensare al progetto, ho avvertito un forte carico emotivo, la stessa adrenalina che mi accompagnava in una prova davanti al pubblico. Qui c'è naturalmente una dimensione più intima, con il modo di ritrarre i diversi soggetti che poi mi porta necessariamente a parlare di me».

Ispirazione originaria è la poesia «Desiderata» (1927) di Max Ehrmann, versi che attraversano l'universo di Stipe, già interessato alla fotografia dagli anni dell'adolescenza.
«Qui dentro c'è moltissimo dell'osservazione, della comprensione dell'esistenza umana, filtrate dal mio sguardo e dalla mia sensibilità. Mi interessa riflettere sulla vulnerabilità come forza propulsiva e non come debolezza. Nel caos della vita contemporanea credo anzi sia uno strumento di sopravvivenza. La vulnerabilità può diventare un superpotere per tracciare nuovi percorsi. In questa fase scelgo di concentrarmi sul bene più prezioso, sulla bellezza e sulla giocosità della vita. Ho perso e mi sono perso, ma per ora sto volando più alto».

Curata da Alberto Salvadori, la mostra viene affiancata da un libro-catalogo dell'editore bolognese Damiani Books, con cui Stipe aveva già pubblicato in passato altri tre volumi: «Even the birds gave pause», comprende una serie di scatti per approfondire la sua filosofia.
«Questo è una ulteriore possibilità per sottolineare il mio legame fecondo con l'Italia: ho trovato un editore di alta qualità e dal forte prestigio internazionale che mi appoggia e mi sostiene. Ma il mio contatto con questo paese si rinnova appena riesco a venirci e anche nella mostra ho voluto omaggiare un'artista che sento imprescindibile: Marisa Merz, che con la sua arte povera, costituisce per me, da sempre, un riferimento e un'influenza potentissimi». 

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