«Wayne Shorter non suonava: dipingeva le note»

«Zero gravity», docufilm in tre episodi diretto da Dorsay Alavi

Wayne Shorter
Wayne Shorter
di Francesca Scorcucchi
Venerdì 25 Agosto 2023, 09:34
4 Minuti di Lettura

Dicono che il successo professionale e artistico di un adulto dipenda dai maestri avuti da bambino. Non sarà vero per tutti ma lo è di sicuro per Wayne Shorter, mito del jazz moderno raccontato in «Zero gravity», docufilm in tre episodi diretto da Dorsay Alavi, in arrivo su Prime Video da oggi, novantesimo compleanno mancato di un musicista gigantesco.

Da adolescente il sassofonista (25 agosto 1933/2 marzo 2023) iniziò a marinare la scuola per infilarsi in una sala cinematografica di Newark, nel New Jersey, dov'era nato. Ogni tanto, fra un film e l'altro, nella sala si esibivano spesso importanti jazz band che arrivavano dalla vicina New York.

Una volta scoperto il misfatto, la preside dell'istituto, anziché punirlo, decise di assecondare le sue inclinazioni e lo fece iscrivere ad una scuola d'arte. A 15 anni Shorter, colto di sorpresa dal proprio talento, iniziò a suonare il clarinetto, l'anno dopo passò al sassofono. Quando l'insegnante di musica lo lodò di fronte ai compagni capì che quella era la sua strada, anche a costo di mettere da parte un'altra predisposizione naturale, quella per le arti visive. Con il fratello Alan, compagno di giochi e di avventure artistiche sin dall'infanzia, mise su un duo, la cui reputazione si fece strada per il sound, ma anche per l'originale modo di vestire, con lunghi soprabiti che arrivavano a terra e strani cappelli, e per i soprannomi che si diedero, «doc Strange» e «mister Weird».

In quegli stessi anni Wayne iniziò a studiare composizione alla New York university. Il resto è storia, del jazz ma non solo vista l'influenza del musicista, andata ben oltre la musica afroamericana. Nel 1959 venne ingaggiato dai Jazz Messengers di Art Blakey, diventandone il principale compositore, nel 1964 entrò a far parte del mitico quintetto di Miles Davis e, ancora una volta, ne divenne il compositore principale. Il pianista della band di Miles, Herbie Hancock, nel documentario racconta le session con il quintetto dell'Uomo con la Tromba, come dall'«anti-musica» nascesse una musica destinata a durare nel tempo.

Nel 1970, incoraggiato dallo stesso Miles, Wayne fondò i Weather Report, andando oltre gli insegnamenti del maestro sul fronte della fusione del jazz con il rock, strutturando meglio il rapporto tra i due generi, magari rinunciando a un po' di furore e di radicalità. Fronte del suono che frequentò anche nei 26 anni (e dieci album) di collaborazione con Joni Mitchell. La leggendaria cantautrice canadese ricorda: «Era un pittore, dipingeva con la musica e volli coinvolgerlo nelle mie tele sonore». E lo dice con grande consapevolezza, essendo lei anche una pregevolissima pittrice. Per suo marito, Larry Klein, invece, Shorter «pensava come uno sceneggiatore più che come un sassofonista».

Il documentario che Prime Video mette in piattaforma da oggi è diviso in tre parti di un'ora ciascuna e alterna la storia della sua carriera con la vita personale, costellata di drammi: il primo sfortunato matrimonio con Irene Nakagami, la morte del padre in un incidente stradale al ritorno da un concerto del figlio, l'incontro con la seconda moglie Ana Maria Patricio, che nel 1996 morì in un incidente aereo, l'arrivo della prima figlia, Iska, sofferente di un danno cerebrale alla nascita. Tra i contributi più interessanti ci sono anche quelli di Sonny Rollins, Ron Carter, Carlos Santana, Reggie Workman, Neil deGrasse Tyson, Marcus Miller, Michelle Mercer (il biografo che ha raccontato il jazzista in Footprints) ed Esperanza Spalding. La prima parte del docufilm narra l'infanzia di Shorter e la sua ascesa dal 1933 al 1971, la seconda i successi commerciali dal 1972 al 1999, e la terza inizia nell'anno 2000 e si concentra sulla filosofia musicale del sassofonista che, spiega guardando dritto la camera di ripresa: «La tragedia è temporanea».

Avali chiama le tre sezioni «portali», in omaggio al buddhismo abbracciato da Shorter, ma anche alla fantascienza che adorava. Tra chi ha visto il lavoro in anteprima non tutti hanno gradito il lavoro del regista che prova ad uscire dalle gabbie dei documentari con interviste e materiali d'archivio utilizzando disegni, ricostruzioni in bianco e nero, immagini di fiori di loto, suggestioni new age...

© RIPRODUZIONE RISERVATA