Sanremo 2024, Geolier “abbraccia” Angelina Mango: «Due ragazzi del Sud: è nu juorno buono»

«Spero che le porte del festival restino aperte al dialetto»

Geolier
Geolier
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Lunedì 12 Febbraio 2024, 00:10 - Ultimo agg. 13 Febbraio, 07:06
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È stato il più televotato di tutti i tempi a Sanremo, il 60% contro il 16,1 di Angelina Mango e si trova «solo» al secondo posto della classifica, ma non gli sentirete dire una parola polemica. Emanuele Palumbo, 23 anni, da Secondigliano, non dà soddisfazione ai suoi detrattori, ai leoni da tastiera, ai nemici dei «napolecani». 

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Eri primo in classifica sino alla fine, poi il parere di sala stampa e radio hanno portato a un ribaltone. Dispiaciuto?
«No, il Festival è una gara e i verdetti si accettano.

Ho vinto la serata delle cover con il rap, e questo mi sembra già un bel risultato. Sono secondo con un brano in dialetto e non era mai successo prima. Ho vinto, insomma. E il cammino compiuto qui mi è piaciuto assaje. Mi porto a Napoli dei bei ricordi di Sanremo, avevo una voglia matta di tornare, di sentirmi a casa».

«Erba di casa mia», avrebbe detto l’ultimo napoletano vincitore del Festival, Massimo Ranieri: era il 1988 di «Perdere l’amore» e anche allora il Napoli aveva lo scudetto cucito in petto. Speravamo fosse un segnale propiziatorio...
«Eh, ma Ranieri è un mito. Io resto il muccusiello che sapete, appena un po’ cresciuto da quest’esperienza».

Oltre che nel televoto, sei primo in hit parade, negli streaming, su TikTok.
«Il supporto del pubblico è una cosa che gratifica, sempre, ma il Festival è una gara con le sue regole, tutto il resto non conta».

Insomma niente da recriminare, nemmeno contro chi ha seminato razzismo anti-partenopeo sui social?
«Ma gli anni Cinquanta sono lontani, credo che la vera discriminazione sia finita. E, poi, hanno vinto due ragazzi del Sud, due ragazzi del Duemila, quasi coetanei: è un juorno buono direbbe Rocco Hunt. Angelina ha un anno meno di me ed è fantastica, anche mia mamma è pazza di lei».

Al rione Gescal ti hanno accolto con i fuochi d’artificio, a Scampia oggi hanno diffuso nella metropolitana le note di «I’ p’me, tu p’te». Il sindaco Gaetano Manfredi ti attende, forse già oggi, a Palazzo San Giacomo: «Bravissimo! Soddisfazione immensa per Napoli, grande città della musica, orgogliosa dei suoi talenti. Emanuele, ti aspetto al Comune per festeggiare!», il suo messaggio.
«E vuoi dire che non ho vinto? Dal sindaco della metropoli più grande del Mezzogiorno ai ragazzi del mio quartiere: sembra una festa per lo scudetto».

Venerdì notte, quando hai sbancato la manche delle cover e hai ricantato il tuo medley hip hop con Guè, Luche’ e Gigi D’Alessio eri, però, evidentemente contrariato.
«È strano: tu vinci e perdi nello stesso momento, quei fischi, con la gente che andava via, esprimevano un parere leggittimo, ma facevano male, non ci mettevano nella condizione di fare una bella performance. Però anche questo è alle spalle e davanti a me ci sono i tre concerti di giugno allo stadio Maradona: sarà un festival anche quello, anzi una festa. E nessuno si preoccuperà se cantiamo in napoletano o come lo scriviamo. Quella del dialetto è la corona più bella che posso mettermi in testa: io rappo nella lingua della mia terra, una lingua che ha fatto la storia della canzone, anzi: storicamente è la lingua della canzone. Però a Sanremo non le davano più il passaporto: Amadeus ha spiegato di aver cambiato il regolamento per me, per avermi. Spero che ora le porte restino aperte per tutti i grandi della musica partenopea».

Sanremo ti ha cambiato?
«No resto un ragazzo normalissimo. A 7-8 anni, già lavoravo a cottimo a casa, montando viti e bulloni. La “fatica” mi ha insegnato quali sono le cose importanti della vita. Qui abbiamo pariato. E spero anche voi».

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