Morto il direttore d'orchestra giapponese Seiji Ozawa

Si è saputo solo oggi, a funerali avvenuti: aveva ottantotto anni

Seiji Ozawa
Seiji Ozawa
di Stefano Valanzuolo
Venerdì 9 Febbraio 2024, 17:01
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Se ci fosse una classifica dei grandi direttori che hanno dato lustro alla musica del ventesimo secolo, Seiji Ozawa occuperebbe le posizioni di testa. Per la sicurezza con la quale sapeva gestire orchestre sontuose, per la capacità rara di pensare la musica a colori, per l' energia immaginifica profusa in molte sue letture, per la nobile curiosità nutrita nei confronti di repertori nuovi e inusuali.

Ozawa è morto martedì scorso (ma si è saputo solo oggi, a funerali avvenuti): aveva ottantotto anni, tre quarti dei quali spesi sul podio, da quando - nel 1959 - aveva vinto un concorso in Francia, il «Besancon», abbracciando una carriera luminosissima. Aveva studiato in Giappone ed è stato il primo, oltre che il più illustre, esponente di una schiera di direttori asiatici la cui forza trainante sul pubblico di casa propria si sarebbe rivelata formidabile.


Charles Münch fu bravo a riconoscergli qualità fuori dall'ordinario e a portarlo negli Stati Uniti, precisamente a Tanglewood, dove Ozawa avrebbe incrociato - all'inizio degli anni sessanta - la strada dorata di Leonard Bernstein. Divenne assistente del geniale musicista americano, il quale lo lanciò sui palcoscenici migliori, convinto fino in fondo del talento del suo giovane discepolo giapponese. 
Nel bellissimo libro uscito qualche anno fa per Einaudi e intitolato «assolutamente musica», Ozawa si ritrovava a conversare d'arte amabilmente con Haruki Murakami, scoprendo tutto il proprio affetto per Bernstein, chiamato sempre e soltanto «Lenny». Eppure aveva lavorato,  già prima a Berlino, anche al fianco di Herbert von Karajan, con il quale ebbe un rapporto certo rispettoso ma forse meno espansivo. Questione di affinità.
Come Bernstein, Ozawa attribuì al proprio ruolo una funzione essenziale di divulgazione. In patria, promosse un festival (Saito Kinen) e la nascita di vari complessi sinfonici, anche giovanili, ponendoli sotto la propria ala rassicurante. In carriera, si rese protagonista di molte prime esecuzioni assolute, collaborando con compositori del valore di Ligeti, Nono e Messiaen, senza per questo disdegnare autori dalla fama meno roboante. 


Per trent'anni ha legato il proprio nome e la propria cifra interpretativa alla Boston Symphony Orchestra, un'orchestra - non a caso - duttile e brillante. Ci sarebbe da perdersi tra le sue mille interpretazioni, e se volessimo citarne solo una, iconica, viene in mente la «Symphonie fantastique» di Berlioz, densa di suono e di tinte avvincenti. Prima ancora aveva accompagnato la crescita della Toronto Symphony Orchestra (rilevando Susskind), dopo Boston, invece, avrebbe preso la direzione della Wiener Staatsoper,  succedendo a Claudio Abbado: l'ampia visione di Ozawa includeva, evidentemente, anche il mondo dell'opera, assecondando una vena narrativa e teatrale molto colta nei presupposti, del tutto avvincente negli esiti. Le quasi duecento rappresentazioni viennesi e le sue numerose presenze alla Scala attestano questa proficua predilezione per la scena.


Qualsiasi enciclopedia degna di questo nome servirà a raccontare al pubblico quali e quante siano state le apparizioni memorabili di Ozawa nei cinque continenti. Quindici anni fa, un tumore all'esofago lo aveva costretto a fermarsi e aveva fatto temere per la sua vita. Poi, con straordinaria forza di volontà, aveva ripreso a dirigere, a insegnare, a parlare di musica con signorilità e acume tipicamente giapponesi. Se vi capitasse, non fatevi sfuggire la lettura di «Assolutamente musica»: è un elogio del mestiere di musicista oltre che un inno alla vita reso in forma di conversazione privilegiata tra le note. Un atto d'amore condiviso col pubblico, non l'unico di Ozawa.

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