Acerbi, intervista a Marc Zoro: «Juan Jesus è un uomo vero»

«Servono pene durissime come la squalifica del campo per sei mesi»

Marc Zoro
Marc Zoro
di Eugenio Marotta
Sabato 30 Marzo 2024, 08:00 - Ultimo agg. 19:43
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Aveva deciso di non rilasciare dichiarazioni sulla vicenda tra Acerbi e Juan Jesus, motivando il suo silenzio (amaro) con quel lassismo che ha registrato da 18 anni a questa parte nel calcio, in Italia, in tema di razzismo. Da allora, insomma, non era cambiato nulla. Marc André Zoro, presidente dell’Assocalciatori in Costa d’Avorio, viene sistematicamente tirato in ballo quando si verificano episodi di intolleranza razziale negli stadi. E questo perché l’ex difensore (oggi 41enne) è diventato un simbolo della lotta al razzismo in quanto è stato il primo giocatore a dire «stop-basta» ed a interrompere una partita di calcio in serie A nel lontano 2005 (Messina-Inter del 27 novembre). 

Perché oggi ha deciso di parlare, dopo la sentenza che ha scagionato Acerbi? 
«Avevo intuito l’epilogo della vicenda».

Cosa ha provato? 
«Un sentimento di amarezza.

Un dispiacere. Una cosa sgradevole».

Il Giudice non ha trovato prove sufficienti... 
«Anche quando i “tifosi” fanno “buuu” dagli spalti non ci sono prove. Tutti insultano e tutti sentono. Jesus non è certo un bambino: Acerbi ha pronunciato quella frase, poi ha capito che non c'erano prove a suo carico ed ha deciso di non dire la verità. Per me il difensore dell’Inter ha detto quella frase. Non ero li, ma per me lui l'ha detto».

Acerbi però continua a negare ogni addebito. 
«Penso che lui deve fare una sorta di coming out. Dovrebbe uscire allo scoperto e prendersi le sue responsabilità. Spero che quando torna a casa, si guardi allo specchio e si sforzi di dire a se stesso che d’ora in avanti non farà più queste cose».

È cambiato qualcosa rispetto a 18 anni fa?
«Non è cambiato nulla».

Cosa si aspettava?
«Sono arrabbiato perché mancano le soluzioni al problema o, peggio ancora, non si vogliono trovare».

E quali potrebbero essere?
«Pene durissime. La squalifica del campo per sei mesi: mandare la squadra a giocare altrove. Solo così la gente riflette e magari cambierà qualcosa».

Ma così si pregiudica anche la parte buona del calcio.
«Se tu vuoi che la parte buona resta, smetti di fare il coglione razzista».

Cosa si sente di dire a Juan Jesus?
«Che ha una pelle ed un colore magnifici. Voglio dirgli che lui è un uomo: un uomo vero».

Cosa pensa della giustizia sportiva?
«Che deve dare ed avere una attenzione massima su questo aspetto perché altrimenti si rovina il calcio. Ho giocato in tanti paesi e purtroppo devo dire che il razzismo c’è un po’ ovunque, ma non è così radicato come in Italia. Ma perché? Proprio non riesco a capacitarmi».

A suo avviso il razzismo rischia di superare anche gli spalti fino ad entrare in campo?
«Questa sarebbe una cosa ancora peggiore. Ma questo non è calcio. Non può essere il gioco più bello del mondo».

C’è chi prova a derubricare il tutto dicendo che in campo se ne dicono tante.
«Sono sciocchezze. È un modo per difendersi. E comunque sarebbero cose ben diverse dagli insulti razziali».

Come giudica la presa di posizione di Juan Jesus prima, durante e dopo?
«Jesus ha suonato la campanella. Ha fatto capire che ci sono giocatori che si permettono di dire certe cose. Bisogna lottare per debellare questa piaga, sperando che ci siano pene severe per chi sbaglia sugli spalti e sul campo».

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