Il violino si è scordato. È uno dei tanti sfottò piovuti sulla testa di Garcia subito dopo l'umiliazione subìta dal Napoli e dal tecnico francese ieri al Maradona. La gente non lo sopporta e non lo supporta, i tifosi non gli hanno mai perdonato la frase: «Non conosco il gioco del Napoli, io ho le mie idee e seguiremo quelle». Quanto fosse poco predisposto il pubblico nei suoi confronti, lo si è intuito ieri al momento dell'ingresso in campo delle squadre: incoraggiamento per tutti, ben consapevoli che questa sarebbe stata una sfida di importanza vitale per la classifica e per il futuro per la squadra. Ma fischi, e tantissimi, per il francese, già quando lo speaker l'aveva annunciato dopo aver snocciolato i nomi degli undici titolari: reazione spontanea, immediata e deludente per aver appreso dagli altoparlanti dell'assenza di due assi come Zielinski e Kvaratskhelia.
Ma non è vero e non è giusto sostenere che l'antipatia è schizzata in alto da ieri.
La pazienza, o il credito se preferite, è durata esattamente un tempo. Quando l'arbitro ha mandato tutti nello spogliatoio per l'intervallo, giù fischi a volontà, peggio della pioggia a catinelle che nel frattempo aveva inzuppato tifosi e spalti dello stadio. Con l'allenatore bersaglio ovviamente preferito, nonostante il passo affrettato per guadagnare la scaletta del sottopassaggio.
Il secondo tempo è stato un conto alla rovescia. Il Napoli ha dato l'impressione di partire forte, provocando altre scintille tra i tifosi. Ma non c'è stata continuità nelle giocate e di conseguenza non poteva essere costante l'appoggio dagli spalti: avvicinandosi il novantesimo si sono ascoltati ulteriori fischi, quando la squadra faticava a superare gli ultimi trenta metri. Sussulti, imprecazioni e anche maledizioni se preferite al momento dei tiri di Kvara e Lindstrom, respinti in maniera provvidenziale dal numero uno toscano Berisha. Ma poi basta, fine di ogni comprensione quando Kovalenko indovina il tiro della domenica provocando un doppio effetto: la gioia dell'Empoli e la rabbia napoletana. «Andate a lavorare» l'epiteto più carino ascoltato allo stadio, con fischi incessanti negli ultimissimi istanti di recupero.
Che stonatura la scena finale vissuta al fischio di chiusura. Stanco dell'ennesima figuraccia rimediata in casa, il popolo azzurro ha contestato tutto e tutti, quello stesso popolo che aveva festeggiato all'inverosimile l'indimenticabile 4 giugno: al posto dell'osannato Spalletti c'era lo sguardo abbassato di Garcia, all'ultima panchina in azzurro. Cinque mesi fa le facce trionfanti degli azzurri cariche di gloria, ieri occhi fissi a terra e un timido saluto ai settori dello stadio: prima si cantava «abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione», ieri si ascoltava «Garcia torna a Lione».