Scudetto Napoli, intervista a Rudy Krol: «Si può vincere anche senza Spalletti»

«Il ciclo della mia Olanda andò avanti anche senza Michels»

Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen
Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen
Giuseppe Taorminadi Pino Taormina
Giovedì 1 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 2 Giugno, 10:00
4 Minuti di Lettura

«Gli schemi buoni restano sempre nella testa dei giocatori per almeno un altro anno. Chi verrà dopo Spalletti si ritrova una eredità che dovrà sfruttare: una specie di miniera d'oro che lo renderà famoso senza dover fare particolare fatica. Come avvenne a Kovacs quando prese il posto di Michels». È un vecchio amico del Napoli, Rudy Krol (stasera ospite al Gambrinus per “Sentieri Azzurri” alle 21 su Prima Tivvù). In questi giorni in città per godersi i festeggiamento per lo scudetto che lui, nel 1981 sfiorò solamente. «Per noi fu un piccolo dramma veder andar via il profeta che aveva portato l'Ajax al trionfo in Olanda e in Europa inventando il calcio totale. Ma capimmo subito che non era la fine del mondo». Era l'estate del 1971.

Krol, al Napoli sta per succedere la stessa cosa.
«Quel che conta è cosa pensa di fare quello che arriva.

Se vuole fare rivoluzioni, pensando di rimettere tutto in discussione, farà un grande errore. Perché questa squadra è fortissima. Se il tecnico che viene ha l'umiltà di proseguire nel lavoro fatto in due anni da Spalletti e che ha portato il Napoli così in alto, allora non potrà che far bene. E il Napoli continuerà a vincere».

L'addio di Spalletti non segna la fine del ciclo?
«Michels aveva inventato il calcio totale che tutto il mondo invidiava: venne da noi all'improvviso e disse che sarebbe andato via alla fine della stagione. Noi eravamo increduli, anche perché subito dopo dirigenti dell'Ajax presero un signore sconosciuto che era stato allenatore solo in Romania, Kovacs. Una scommessa. Che però, col suo inglese perfetto, ci spiegò che per lui il calcio di Michels era il migliore del mondo e che lui avrebbe provato a copiarlo e imitarlo. E così vincemmo anche le Coppe dei Campioni dei due anni dopo».

Cosa portò di diverso?
«Ammorbidì i ritmi rigorosi degli allenamenti che con Michels erano spietati, durissimi e noi quasi non sopportavamo più. Avevamo anche più libertà in mezzo al campo, senza avere gli assilli sulle cose da fare e non fare. Ogni tanto, come premio, ci consentiva di portare in aereo con noi i nostri familiari. Ma successe un paio di volte. L'erede di Spalletti deve solo avere la furbizia di raccogliere il lavoro straordinario fatto da Luciano, i suoi schemi, i movimenti, le tattiche. Perché i calciatori non chiedono altro. Il nostro ciclo andò avanti anche senza Michels ma con Kovacs in panchina».

L'addio di Cruijff è stato più traumatico?
«Lui andò via due anni dopo la partenza di Michels. E in quel caso tornammo a vincere un campionato olandese dopo quattro anni. Anche perché un po' alla volta tutti quanti noi cominciammo a guardare altrove, non perché non stavamo bene ad Amsterdam ma per la voglia di metterci in discussione. Suurbier, Hulshoff, Blankenburg, Neeskens, Keizer un po' alla volta andarono via. E poi anche io. E feci bene, perché sono venuto in questa grande città che è nel mio cuore».

Più duro fare a meno di Kim?
«Certo, è un giocatore che è migliorato tantissimo con il lavoro giorno dopo giorno di un maestro come Spalletti. Non è che il prossimo difensore che viene nel Napoli può capire il calcio italiano con la stessa velocità del coreano».

Dunque, dia un consiglio a De Laurentiis su chi prendere per il dopo Spalletti?
«Cerchi di capire se il nuovo allenatore ha la stessa mentalità di Luciano. Perché quando una squadra crea una macchina di gioco così belle, non vede l'ora di continuare a farlo. Quindi i calciatori accettano con entusiasmo chi verrà e dirà: “continuiamo esattamente come ha fatto il vostro allenatore”. Mentre avranno sicuramente una certa resistenza se gli dovesse essere chiesto di cambiare, di fare cose diverse rispetto a quello che li ha portati a vincere lo scudetto». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA