Un chip nel cervello per leggere il pensiero: svolta nella ricerca

Via alla sperimentazione negli Usa

Via alla sperimentazione negli Usa
Via alla sperimentazione negli Usa
di Lorenzo Calò
Venerdì 10 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 13 Novembre, 07:07
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Certo, la strada è lunga e anche tortuosa, piena di dubbi e interrogativi sul versante bioetico nonché costellata di paure e pregiudizi di stampo orwelliano. Ma è anche una sfida affascinante per la scienza quella descritta su «Nature Communications» da Gregory Cogan e Jonhatan Viventi, due ricercatori dell'Università Duke (Usa) sulla sperimentazione di un chip impiantabile direttamente nel cervello, che permette di comunicare solo con il pensiero: decodifica i segnali provenienti dall'area cerebrale che controlla i muscoli usati per parlare e prevede i suoni che si sta cercando di pronunciare. Per ora il metodo si è dimostrato efficiente solo per pochi suoni e parole senza senso (dunque, non l'elaborazione di un pensiero compiuto) ma è un primo, importante passo, per aiutare in futuro chi ha disturbi del linguaggio. «Immaginate di ascoltare un audiolibro a metà velocità; questa è la migliore fluidità di decodifica del parlato attualmente disponibile, che si attesta a circa 78 parole al minuto - ha spiegato Cogan - Tuttavia le persone pronunciano circa 150 parole al minuto e lo scarto tra la velocità del parlato e quella della decodifica è in parte dovuto al numero relativamente basso dei sensori relativi all'attività cerebrale che possono essere fusi su un pezzo di materiale sottile come la carta posta sulla superficie del cervello. Un minor numero di sensori fornisce meno informazioni decifrabili da decodificare», ha concluso Cogan. 

Nei pazienti affetti da Sla, per esempio, le attuali metodologie in campo medico agiscono sui contatti neurali ancora in maniera lenta e poco efficace.

Ecco perché i ricercatori americani hanno sviluppato una nuova tipologia di chip impiantabile nel cervello, capace di riconoscere i segnali prodotti dai neuroni coinvolti nel coordinamento motorio per il linguaggio, circa un centinaio di muscoli che controllano ad esempio il movimento della lingua e delle labbra. Per ora la tecnica è stata testata solo per pochi minuti e su un numero ridotto di pazienti: l'impianto è stato poggiato sopra la zona di corteccia cerebrale interessata mentre è stato poi chiesto ai pazienti di ascoltare e ripetere alcuni suoni e parole senza senso. Per la realizzazione del progetto, Viventi e la sua équipe hanno inserito ben 256 microscopici sensori cerebrali in un frammento di grado medicale flessibile, fatto di plastica e della dimensione di un francobollo. I dati ottenuti - impulsi elettrici relativi al controllo dei muscoli del linguaggio - sono poi stati inseriti in un algoritmo di apprendimento automatico per verificare con quanta precisione si poteva prevedere quale suono il paziente avrebbe voluto produrre. Il metodo ha dimostrato una precisione dell'84% per alcune tipologie di suoni fino a un minimo del 40% con altri suoni: un primo passo incoraggiante, anche se ancora lontano da una reale applicabilità, per futuri chip impiantabili capaci di dare nuovamente la parola «leggendo semplicemente il pensiero». 

A un'interfaccia sperimentale uomo-macchina in grado di leggere nella mente stanno da tempo lavorando anche altri enti di ricerca americani, in particolare sulla interpretazione dei segnali sinaptici corrispondenti della comunicazione umana. L'esperimento condotto dagli scienziati statunitensi consiste in un impianto chirurgico messo a contatto diretto con le aree del cervello deputate alla comunicazione: gli impianti hanno permesso l'analisi di quelle aree della corteccia, con la conseguente identificazione delle onde cerebrali corrispondenti a quattro suoni ben distinti. 

Lo scorso maggio aveva fatto il giro del mondo (e del web) l'annuncio di Neuralink (la società di Elon Musk) di un progetto basato sull'impianto di un chip nel cervello umano per aiutare le persone paralizzate o affette da malattie neurologiche a comunicare direttamente con un dispositivo esterno attraverso il pensiero. L'interfaccia macchina-paziente c'è da decenni. Ma nel progetto di ricerca finanziato da Musk (che ora sta cercando volontari da sottoporre ai test) il microchip muoverebbe da una tecnologia molto avanzata per interpretare l'attività elettrica del cervello, agendo sia in entrata che in uscita. «Rilevare i segnali può tracciare lo stato emotivo di una persona, anche le sfumature più profonde, persino inconsce. Potremmo dire che ci si avvicina molto al concetto di leggere nel pensiero», ha avvertito il Comitato italiano nazionale di bioetica, ravvisando che le implicazioni non riguardano soltanto la sfera medico-terapeutica. In casi di gravi patologie come la Sla, o in pazienti post-ischemici, è fondamentale riuscire a permettere a persone letteralmente imprigionate nel loro corpo di tornare a comunicare con l'esterno. E in questo il chip potrebbe rappresentare una soluzione «miracolosa» perché sarebbe in grado di leggere e decodificare le reazioni cerebrali. Ma lo stesso chip sarà in grado anche di inviare dei segnali al cervello: e in questo caso è chiaro che il rischio di manipolazione dall'esterno è alto. 

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