La regista Liliana Cavani: «Da Bergoglio appello alla semplicità contro i narcisismi dell'informazione»

La regista Liliana Cavani: «Da Bergoglio appello alla semplicità contro i narcisismi dell'informazione»
di Alvaro Moretti
Lunedì 10 Dicembre 2018, 08:11 - Ultimo agg. 13 Dicembre, 08:07
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Attentissima ai simboli, come il gesuita Papa Bergoglio, Liliana Cavani, regista di tre film su Francesco e del recente documentario sulle Clarisse, ne coglie uno semplice nella visita dal pontefice al nostro giornale. «Francesco è il messaggero di Cristo - osserva - è significativo che abbia scelto proprio il Messaggero: il vostro è un nome evocativo, che vi responsabilizza. Bergoglio seleziona bene i simboli e i messaggi da lanciare».
Che Papa è Francesco?
«Sempre molto coerente con quello che vuole essere, un uomo sincero e diretto. Non casuale che abbia richiamato i giornalisti proprio alla concretezza: lui raccoglieva l'Sos di Papa Ratzinger su questo tema, vista la complessità dei problemi ereditati».
Di qui la necessità di tornare al fatto sfrondato dai narcisi dell'opinionismo.
«Lui è un comunicatore semplice perché intelligente. Conosce i bisogni degli altri e della Chiesa, che è fatta degli altri. In un momento di grande caos nel mondo, ribolle tutto, c'è bisogno che da qualche parte ci sia un orizzonte più chiaro, un senso del dove andiamo. E lo cerca anche fuori dal Vaticano. In un giornale, ad esempio. La Chiesa ne ha viste e -in parte - fatte di tutti i colori. Gli ultimi Papi, da Giovanni XXIII in poi sono uomini presenti nella realtà forte con impulso, uomini notevoli».
Nel suo studio cinematografico di San Francesco approfonditissimo vede parallelismi con l'opera di questo Francesco?
«Il santo di Assisi è stato riscoperto tardi. La sua parola chiave, fraternità (anche con le sorelle come Chiara, trattate con uguaglianza), è una parola riscoperta durante la Rivoluzione Francese. Io nel '66 lo raccontai come una cronista, macchina a mano a seguire il personaggio in giro per l'Umbria, semplificando lo stile. E tentare di semplificare le cose è il mandato di Bergoglio. Ai giornalisti del Messaggero dice: andare ai fatti, sfrondare da un opinionismo debordante. Contro il narcisismo dell'informazione fatta solo di opinioni».
Una scelta anti-estetizzante: badare al sodo.
«Proprio così».
Altro in comune? 
«La Chiesa segue i tempi, poi ci sono personaggi e fatti che sono stelle comete. I fatti di Palestina furono una cometa, il Povero di Assisi fu una cometa, questo Papato. Comete che illuminano la strada da percorrere. Bergoglio sceglie un nome che è una scelta politica, letteralmente: si sente un membro della polis, responsabile del male che accade se non prova almeno a fare da contrappeso. Pagano sempre dei prezzi, questi personaggi: se fai una comunicazione pulita, come vi diceva Bergoglio, e punti sul Vangelo fai rumore nel mondo. I fatti sono la cosa più forte: cineasti, scrittori e giornalisti ci girano intorno, spesso».
Lo sa che proprio al Messaggero, Bergoglio ha dato la prima intervista ad una giornalista donna?
«Beh, la vera rivoluzione della Chiesa avverrà quando ci si renderà conto che l'umanità deve ancora sfruttare a fondo almeno metà dell'intelligenza disponibile, quella femminile. E anche la Chiesa. Mi chiesero di scrivere una cosa sulla condizione femminile nella Chiesa, io ho preferito usare il mio linguaggio: un documentario sulle clarisse. Lo presentai nel 2012 in un auditorium al Vaticano, piacque alle suore ma anche Ruini, certo non un femminista. Ma partendo proprio dalla figura di Chiara, si racconta di una donna nella chiesa lasciata ai margini: un'enorme potenzialità che non può restare ridotta. Sono donne intelligenti, eppure le ignorano. Non sono mai da nessuna parte, non le valorizzano. Vittime della misoginia che nella Chiesa è presentissima».
Un film su Bergoglio?
«Nessuno me lo ha chiesto, in ogni caso ora c'è Sorrentino che fa il secondo film sul Papa. Un Papa con visione affascinante, a modo suo, ma molto estetizzante. Tutto il contrario di Bergoglio. Non cerca santini. È tutto fraternitas: perciò Bergoglio è in controtendenza. Questi sono anni di liti continue, servirebbe tanta fraternità francescana. Compresa la divisione ancora attuale tra uomo e donna».
In che senso?
«Gli uomini, anche nella Chiesa, faticano tanto capire la donna. Nella scuola le distanze si sono annullate, altrove no».
Papa Francesco è un uomo solo?
«Il problema di questo Papa è l'emergenza della giustizia sociale: vive come ferite sofferenza, povertà, fame. Io sono cresciuta nel mito del progresso che aveva mio nonno: ma il progresso vero è lento, io pensavo andasse più veloce. Non invidio Papa Francesco: deve sentire addosso un peso enorme, sa di non potercela fare da solo e di continuo scopre persone attorno a lui che non fanno quello che lui si attende, nel senso del cambiamento. Penso che di delusioni ne abbia vissute tante. Io, vede, ho stimato molto Ratzinger nella scelta della rinuncia di fronte alla pretesa di una Chiesa al passo coi tempi. Bergoglio è più adatto a tempi come questi. Ma deve credere davvero tanto di avere Dio dalla sua per farcela».
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